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lunes, 3 de enero de 2011

L'Amico di famiglia - Paolo Sorrentino (2005)


TÍTULO L'Amico di famiglia
AÑO 2006 
SUBTITULOS Si (Separados)
DURACIÓN 108 min.
DIRECTOR Paolo Sorrentino
GUIÓN Paolo Sorrentino
MÚSICA Teho Teardo
FOTOGRAFÍA Luca Bigazzi
REPARTO Giacomo Rizzo, Laura Chiatti, Luigi Angelillo, Marco Giallini, 
PRODUCTORA Coproducción Italia-Francia; Fandango / Indigo Film / Babe Film # Canal+ / Wild Bunch
GÉNERO Drama

SINOPSIS Geremia, un sastre/usurero de avanzada edad, es un hombre repulsivo y tacaño que vive en una casa destartalada junto con su madre postrada. Geremia tiene una relación mórbida y obsesiva con el dinero, y lo usa para meterse en los asuntos de los demás, fingiendo ser un "amigo de la familia". Un día, cierto hombre le pide dinero prestado para la boda de su hija, Rosalba. Geremia se enamora a primera vista y comienza una relación tipo "la bella y la bestia"... (FILMAFFINITY)


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 Subtítulos

Il Nosferatu dell'Agro Pontino
Un impegno forte e coraggioso. Questo servirà a Paolo Sorrentino per far sedimentare il terzo film e, soprattutto, confrontarsi con il respiro e la coerenza del suo score creativo senza infingimenti. Il regista napoletano sa, infatti, che tocca solo a lui capire perché L'amico di famiglia non può accontentarsi d'inseguire gli umori imprevedibili dell'arena internazionale degli esperti né di essere consegnato a cuor leggero all'asettico referto di un festival. A nostro parere, intanto, sono tre le considerazioni essenziali da fare a schermi spenti: l'autore conferma di essere dotato di un dna artistico e di una padronanza del racconto audiovisivo fuori da ogni meschino (italico) standard; il protagonista Giacomo Rizzo scolpisce un ritratto a tuttotondo cattivista dalle sublimi tonalità gogoliane; il film alterna momenti di straordinario pathos visionario e affondi grotteschi all'acido muriatico a numerosi orpelli estetizzanti, passaggi oscuri e irrisolti e troppi controcanti concettuali. L'aspetto migliore di «L'amico di famiglia», cioé quello che ne promuove l'interesse sostanziale, sta nella sua indescrivibilità, nella sua audace estraneità, nel suo sofferto andirivieni dall'estremo e dall'onirico al minimalistico e al prosaico. Sugli sfondi alla De Chirico di una città-fantasma dell'Agro pontino va in scena, infatti, la discesa agli inferi di Geremia de' Geremei, vecchio, brutto e sporco usuraio che stringe il cappio del denaro al collo di personaggi resi dal bisogno ancora più laidi di lui: uno scenario che pesca a piene mani nella cronaca e nella sociologia dei nostri anni, ma poi si materializza come una foresta gremita di simboli tra il buñueliano e il felliniano. Rizzo davvero vi striscia come un vile Nosferatu, lavorando sulle parole, i gesti e le espressioni con una raffinatezza tragicomica che evoca gli eterni leitmotiv della ricerca esistenziale. Ed è proprio in questo meccanismo, ripetuto e frammentato all'eccesso, che Sorrentino gioca le sue carte non riuscendo, peraltro, a sciogliere lo snodo drammaturgico cruciale: la «bellezza» dell'anima può annidarsi nei recessi più ripugnanti della carne umana, mentre quella della poesia (cinematografica) deve scegliere sempre e comunque le soluzioni più prestigiose e lambiccate. Quindi il film è faticoso, inutile negarlo, ma si può sempre scegliere di lasciarsi trascinare dai brani magicamente ipnotici o da quelli incentrati sui morbosi rapporti del mostro con le banconote, gli oggetti preziosi, il sesso praticato o immaginario. Forse, proprio la ciclopica incarnazione del protagonista finisce per penalizzare i comprimari, che pure avranno un ruolo decisivo nella cupa beffa finale: una madre sfatta e rantolante tra le sudice lenzuola, l'amico grossolano cowboy da fiera paesana, una ninfetta che disprezza se stessa e il proprio nucleo familiare, finanzieri da avanspettacolo perfettamente in tono con l'assurdità di un tipico non-luogo contemporaneo.

Il «grande occhio» della cinepresa, certamente, non vuole limitarsi a sbirciare tante brutture, ma si aguzza allo spasimo per filtrare lo sporco come un mitile e trasformarlo in alimento, garanzia di sopravvivenza, luce di speranza. Quello che ci sembra superfluo è il tentativo di aggiungere sempre qualcosa, dagli incroci temporali del montaggio alle angolature sghembe, dai dialoghi in controsenso all'azione agli inizi e finali che sembrano moltiplicarsi in sequenza esponenziale. C'è qualcosa che impaccia il film, lo fa girare su stesso e lo fa troppo avvicinare a «Le conseguenze dell'amore» o, addirittura, all'humour tenebroso e disperato de «L'imbalsamatore» di Garrone. Ed è un peccato perché basterebbe il fulmineo primo piano di Geremia profuso d'amore, che lo rende all'improvviso bellissimo come un eroe hollywoodiano, a far capire allo spettatore quanto il talento di Paolo Sorrentino gli sia necessario.
Valerio Caprara
Da Il Mattino, 26 maggio 2006 

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