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viernes, 29 de abril de 2011

Roma, Citta Aperta - Roberto Rossellini (1946)


TÍTULO Roma, città aperta
AÑO 1945 
SUBTITULOS Si (Separados)
DURACIÓN 100 min.
DIRECTOR Roberto Rossellini
GUIÓN Federico Fellini, Sergio Amidei, Roberto Rossellini (Historia: Sergio Amidei & Alberto Consiglio)
MÚSICA Renzo Rossellini
FOTOGRAFÍA Ubaldo Arata (B&W)
REPARTO Anna Magnani, Aldo Fabrizi, Marcello Pagliero, Maria Michi, Harry Feist, Vito Annichiarico, Francesco Grandjacquet, Giovanna Galletti, Carla Rovere
PRODUCTORA Excelsa Films
PREMIOS
1946: Nominada al Oscar: Mejor guión
1946: Festval de Cannes: Gran Premio del Festival (Ex-aequo)
GÉNERO Drama. Bélico | II Guerra Mundial. Neorrealismo

SINOPSIS La ciudad de Roma está ocupada por los nazis, y la temible Gestapo trata de arrestar a Manfredi, líder del Comité Nacional de Liberación. Annie Marie ofrece refugio en su casa a Manfredi y a algunos de sus camaradas, pero los alemanes descubren su escondrijo y rodean la casa: algunos partisanos consiguen escapar por los tejados, pero Manfredi es apresado. (FILMAFFINITY)



Una notte a Roma durante i nove mesi di occupazione nazista: dei soldati tedeschi stanno attraversando piazza di Spagna, mentre sopraggiunge dalla direzione opposta un veicolo militare che si arresta di fronte all’ingresso di un palazzo. Delle persiane scostate permettono di intravedere il profilo di una vecchia signora che osserva altri soldati discendere dal veicolo. Intanto sul terrazzo, un uomo si aggira furtivamente e, lasciandosi alle spalle la sagoma scura di Trinità dei Monti, si allontana lungo i tetti che danno verso l’ambasciata di Spagna. 
L’idea della fuga rocambolesca con cui esordisce Roma città aperta appartiene all’autore della sceneggiatura, Sergio Amidei, che in essa rievoca la sua personale esperienza da ricercato della polizia nazista in quanto membro del partito comunista clandestino. In casa sua si riunivano appunto alcuni dei più importanti dirigenti del partito che erano appena rientrati dalla Francia e coi quali Amidei discuteva regolarmente dei problemi del paese, di politica e, spesso, anche di cinema. I nazisti che si erano insospettiti per il continuo via vai di gente dall’appartamento di Amidei erano venuti una notte per arrestarlo, ma lui era riuscito a salvarsi dandosi alla fuga per i tetti dell’ambasciata di Spagna (cfr. M. Giammuso, Vita di Rossellini, Roma 2004, p.82).
Protagonista della fuga di Roma città aperta non è Amidei, ma l’ingegner Giorgio Manfredi. I soldati tedeschi che sono sulle sue tracce sono le SS del comandante della Gestapo, il tenente colonnello Herbert Kappler, che nell’ingegner Manfredi ha individuato uno dei capi della giunta militare del CLN. Una foto ricordo recuperata dalla polizia politica nello studio di qualche fotografo lo ritrae davanti a Trinità dei Monti in compagnia di Marina, una giovane soubrette che l’ingegnere ha conosciuto al teatro di varietà. La fisionomia dell’uomo è inconfondibilmente la stessa di quella di un certo Ferraris Luigi che compare nello schedario della questura come pericoloso oppositore del regime di Mussolini. Dopo essere scampato all’arresto, Manfredi decide di rifugiarsi in casa dell’amico Francesco, al rione Prenestino. Quest’ultimo lavora in tipografia e insieme ad alcuni compagni stampa nello scantinato di un negozio l’edizione clandestina de L’Unità. Ma Francesco non è in casa e ad accogliere l’ingegnere è Nina, la sua convivente, una donna vedova che abita nell’appartamento vicino. Nina ha un bambino piccolo ed uno che deve nascere. Tra pochi giorni, lei e Francesco si devono appunto sposare.
Per una strana coincidenza, Manfredi in casa di Nina s’imbatte in sua sorella Lauretta, una ragazza che lavora nel varietà insieme a Marina ed è sua intima amica. Volendo evitare sospetti da parte della ragazza, egli finge di essere venuto per affidarle un messaggio. Deve dire a Marina che per qualche giorno non potranno vedersi. A Nina, l’ingegnere affida invece il compito di recarsi da don Pietro, il parroco, e farlo venire a casa di Francesco. Manfredi doveva svolgere una missione: far recapitare un milione di lire ad un gruppo di combattenti della Resistenza di Tagliacozzo. Doveva incontrarsi al ponte Tiburtino con uno di loro, ma ora che è stato segnalato sarebbe troppo pericoloso. Chiede quindi a don Pietro di sostituirsi a lui. Mentre don Pietro si sta recando all’appuntamento, un soldato tedesco entra in chiesa e chiede di parlare col parroco. Preoccupato, don Pietro lo accoglie nel suo studio, ma quando apprende che il militare è un disertore tira un sospiro di sollievo. Lo raccomanda un prete suo amico che gli chiede di offrirgli rifugio per qualche tempo. Don Pietro si avvia quindi all’appuntamento ed al segnale convenuto consegna i soldi.
A tarda sera, Francesco rientra dal lavoro. Il coprifuoco è in vigore dalle cinque del pomeriggio e Nina è preoccupata per il figlio che non è ancora rientrato. Con lui mancano all’appello numerosi altri ragazzi del palazzo. Mentre Nina sta parlando con Francesco e l’ingegnere, fuori si sente una detonazione e si vedono dei bagliori: qualcuno al vicino scalo ferroviario ha fatto saltare un vagone di benzina. Gli autori sono una banda di ragazzini del quartiere fra i quali anche il figlio di Nina. Al loro comando c’è Romoletto, un ragazzo orfano e senza gamba, che abita nella soffitta del loro palazzo. Intanto, Kappler medita nel suo ufficio come stanare Manfredi dal rione Prenestino, dove ne è stata segnalata la presenza e si è verificato l’attentato. L’indomani mattina, mentre Nina e Francesco si stanno preparando per andare a celebrare le loro nozze, alcuni edifici del quartiere sono circondati da militari nazisti coadiuvati da un gruppo di camice nere. La gente viene fatta sgombrare dagli appartamenti e raggruppata in strada per procedere ad una perquisizione. Intanto, don Pietro viene avvertito dal figlio di Nina della presenza di armi ed esplosivo nella soffitta di Romoletto. Don Pietro raggiunge il ragazzo e riesce a scongiurare una feroce repressione da parte dei nazisti, ma non la tragedia di Nina.
Stipati su dei camion, tutti gli uomini rastrellati nelle case vengono condotti via. Nina che rincorre disperatamente il convoglio, chiamando Francesco, viene falciata da una scarica di pallottole sotto gli occhi del figlio e di un impotente don Pietro. E’ la scena più drammatica e più famosa del film. A qualche chilometro di distanza, la colonna tedesca con a bordo i prigionieri viene però attaccata da un gruppo della Resistenza. I prigionieri si danno alla fuga e riescono a mettersi in salvo anche Francesco e Manfredi, che insieme si recano ad incontrare Marina, la quale diventa la loro ultima speranza di salvezza. Infatti, Marina invita i due a nascondersi in casa sua.
A casa di Marina, Manfredi scopre però che la ragazza è una morfinomane ed ha con lei un alterco. Vorrebbe rimproverarla, ma non gl’ importa. Manfredi sostiene che nei suoi confronti non ha nessun diritto. Lui in fin dei conti è stato solo un episodio della sua vita, qualche cosa di passeggero. “Uno dei tanti?”, commenta offesa Marina, che gli confessa di avere una bella casa solo perché ha avuto degli amanti. Se non avesse avuto degli amanti, dice, oggi sarebbe forse la moglie di un tranviere e avrebbe avuto dei figli e tutti quanti sarebbero stati dei morti di fame. La vita è brutta, è una cosa sporca e la miseria lei l’ha provata. Manfredi le dice che la bella vita a cui aspira non può essere certamente la felicità. Ma la ragazza risponde che se l’avesse veramente amata avrebbe cercato di cambiarla, mentre adesso le sta solo facendo la predica, dimostrandosi così peggiore di tutti gli altri suoi amanti.
Ciò che Manfredi ignora quando accetta l’ospitalità di Marina è che la ragazza è stata plagiata da Ingrid, una collaboratrice del comandante Kappler, che è costantemente in contatto con lei perché le fornisce la morfina. Il giorno seguente, quando Francesco e Manfredi lasciano l’appartamento della donna si recano da don Pietro per avere dei nuovi documenti e lasciare così la città. Con loro verrà anche il disertore austriaco, che aveva chiesto soccorso a don Pietro. Mentre Francesco si attarda a salutare il figlio di Nina, che ora è ospite in casa del parroco, una macchina della polizia nazista blocca per strada don Pietro, Manfredi e il militare austriaco, che vengono tutti e tre arrestati. Marina ha parlato con Ingrid e denunciato il suo amante, per vendicarsi di lui.
In via Tasso, Manfredi viene minacciato e sottoposto a tortura, ma si rifiuta di fare i nomi dei badogliani che tirano le fila della Resistenza romana. Kappler cerca di convincerlo a parlare dicendo che questi sono comunque dei reazionari,  avversari dei comunisti, e che quindi non ci perderebbe nulla a denunciarli alla polizia politica. Manfredi però tiene duro fino alla fine e non fa nessun nome.
Kappler cerca allora di ottenere qualche cosa da don Pietro, ma questi dice di sapere poco e quel poco che sa di averlo appreso sotto il vincolo della confessione che gli impone di tacere ciò che gli è stato rivelato. A don Pietro verrà risparmiata la tortura, ma deve affrontare il plotone di esecuzione. Composto da militari fascisti, il plotone sbaglia il bersaglio, ma il condannato viene inesorabilmente freddato dalla pallottola di pistola di un ufficiale tedesco. Ad assistere all’esecuzione ci sono i ragazzi del rione Prenestino che lanciano un fischio di saluto per il loro parroco.
Nella seconda guerra mondiale, lo statuto di città aperta, che consentiva di evitare i bombardamenti, venne negoziato per alcune città italiane a salvaguardia del patrimonio artistico – culturale in esse conservato. Tuttavia, Roma poté rivendicare questo privilegio in considerazione anche della presenza del Pontefice, la cui opera di mediazione a favore della città si era già fatta sentire dopo i bombardamenti del luglio 1943. Ciò nonostante, Roma venne sottoposta a bombardamenti altre decine di volte. Sarà forse stato in una di quelle incursioni aeree che Romoletto – nome evocativo della rifondazione nazionale sui valori della Resistenza espressi dalle giovani generazioni – perde i genitori e la gamba. La circostanza è del resto suggerita dall’ammasso di macerie di alcune case del Prenestino, che nel ’45 sono ancora presenti a fare da complemento scenografico al film di Rossellini.
Con scarsi mezzi e finanziamenti a volte fantomatici (vedi M. Giammuso, op. cit.), nasce con Roma città aperta il cosiddetto neorealismo cinematografico. Le strade delle città italiane che recano ancora traccia delle recenti vicende della guerra offrono gli elementi scenografici atti ad esaltare al massimo la tragedia di una nazione che per un ventennio è stata consegnata a degli avventurieri politici da operetta. Le storie non occorre inventarle, si possono ricavare da avvenimenti realmente accaduti, come nel caso di Nina che rievoca la storia di Teresa Gullace, o nel caso di don Pietro, che riassume in se le figure di don Pietro Pappagallo e di don Giuseppe Morosini. A guerra ancora in corso nel Nod Italia, Roma città aperta permette di intravedere con grande lucidità il futuro scenario politico dell’Italia. La collaborazione tra cattolici e comunisti, che in non rare occasioni diventa complicità, e la legittimazione del partito comunista come partito di governo, in virtù dell’elevato senso di lealtà che i comunisti dimostrano nei confronti dello Stato, così come si intuisce dall’esempio di lealtà che Manfredi dimostra verso l’alleato badogliano nella lotta contro l’occupante nazista. Questo scenario politico verrà superato nell’arco di un paio d’anni, in seguito al delinearsi della formazione dei due blocchi mondiali e del loro antagonismo.
Tutto ciò nel ’46, quando il film arriva negli Stati Uniti, è ancora in fase di incubazione. A decretare così il grande successo di Roma città aperta saranno proprio i distributori cinematografici americani_

Roma, ciudad abierta: Contexto, mensaje y modernidad
1945. Justo en ese año, el del fin de la Segunda Guerra Mundial, surge la película que daría a conocer al mundo entero el movimiento cinematográfico que más tarde se etiquetaría como Neorrealismo. Destacar el año de su realización no es cuestión de poca importancia. Italia se había librado apenas un año antes de Mussolini y su gobierno totalitario, y de su colaboración con el régimen nazi, que había invadido media Europa. Por eso realizar una película donde podemos ver la situación de un pueblo (el italiano) que se une y colabora para hacer frente como puede, cual David contra Goliat, al todopoderoso enemigo fascista/nazi, hacerlo desde una óptica casi naturalista, en escenarios la mayoría de ellos naturales (exteriores e interiores), con actores (a excepción de Anna Magnani y Aldo Fabrizi) desconocidos o no profesionales, en ese año, y en Italia, bastaría para colocar a Roberto Rossellini, su director-coguionista, en un lugar destacado de la historia del cine.
La valentía de su propuesta sólo es comparable a la de Chaplin y El Gran Dictador, de 1940. La trama de la película (paradójicamente ficticia) queda trascendida por la inmediatez del trasfondo y su circunstancia, esa Roma que vemos en el primer plano de la película, en una panorámica que nos la muestra aparentemente tranquila, pero que esconde por sus callejuelas los desfiles de las brigadas nazis y sus siniestras actividades, mostradas en los no menos siniestros planos siguientes. En concreto el plano en el que vemos por primera vez a los soldados cantando y desfilando alegremente por una oscura calle al amanecer es de una fuerza impresionante, y podría servir perfectamente como resumen del Neorrealismo en su totalidad. Es un plano que no me atrevería a asegurar si se realizó expresamente para la película o si proviene de algún documental realizado tiempo antes, pero de tal desnudez y realismo que podríamos inclinarnos por esta opción.
El hecho que Rossellini fuera documentalista durante sus primeros años de cineasta también apoya esta segunda teoría, a la vez que justificaría la primera. Y ahí radica el impacto de Rossellini: su cine puede parecer a primera vista desaliñado, descuidado, pues sus películas no parecen responder a una puesta en escena concreta (por lo menos lo que se venía entendiendo hasta entonces por puesta en escena). Desde luego no encontramos en esta película, ni mucho menos en Paisà[i] o Alemania, año cero[ii] algo parecido a lo que se venía haciendo en el cine de Hollywood de los años 40 (salvo algunas excepciones), con sus grandes películas hechas en estudio, pero tampoco algo parecido a lo que se hacía mayoritariamente en Francia, se había hecho en Alemania, y se seguía practicando en la URSS (esto es, el realismo poético francés, el expresionismo alemán, y el cine propagandístico soviético).
Por el contrario, tenemos una película cuyo tratamiento es menos enfático, tanto a nivel visual como narrativo, dejando más libertad al espectador para descubrir en cada plano un trocito de realidad, un pedazo de vida arrancado a esa Italia dolorida de los años 40. Por supuesto que también hay planos-contraplanos, diálogos brillantes, montaje paralelo y hasta humor/suspense Hitchcockiano (la escena en la cual Doña Pina se empeña en llevarle los libros a Don Pietro para ahorrarle peso, cuando en realidad es un paquete importante que el párroco ha de entregar a un miembro de la Resistencia), pero todo esto sirve para hacer resaltar otros aspectos más novedosos, como la espontaneidad de la interpretación (incluidos secundarios y hasta figurantes), el naturalismo de la fotografía (la mayoría con luz diurna en exteriores), el realismo de los interiores con esos portales y rellanos de paredes desconchadas, y la crudeza de ciertas escenas (como la muerte de Doña Pina en medio de un tumulto provocado por una redada o la ejecución final y la tortura hasta la muerte de Giorgio, uno de los protagonistas principales).
Todos estos factores provocan que el mensaje socio-político de la película (la resistencia de un pueblo frente a su opresor) cobre una fuerza inusitada y prácticamente la película suponga el nacimiento del cine moderno (aunque para algunos lo fuera antes Ciudadano Kane, y para otros lo será luego Al final de la escapada). Esta circunstancia, la del relevo que la película parece anunciar con su nuevo estilo, tiene un paralelismo en la misma trama de la película, con la utilización de los niños como futuro liberador y lleno de esperanza. Los niños en Roma, ciudad abierta[iii] mantienen en todo momento una actitud resistente frente al tirano, llegando incluso a realizar actos violentos con pequeñas bombas de fabricación casera, aunque sean tratados por sus no movilizados padres como de travesuras nocturnas. En todo momento los niños demostrarán admiración por los adultos resistentes, y, al final, serán testigos impotentes del trágico desenlace de la película, no sin antes dejarle claro a Don Pietro que ellos seguirán la lucha. Por eso, el último y legendario plano de la película, que nos muestra a los niños dolidos pero íntegros, marchando de espaldas a cámara hacia una Roma que pronto será liberada, podría interpretarse tanto como un canto a la esperanza para el pueblo italiano, como un anuncio de la llegada de nuevos cineastas al Cine italiano, encargados de renovarlo y darle prestigio internacional.
Podríamos decir que esos niños que marchan de espaldas a cámara son Visconti, Fellini, Antonioni, De Sica, el propio Rossellini…

[i] Paisà, Roberto Rossellini, 1946.
[ii] Germania, anno zero, Roberto Rossellini, 1948.
[iii] Roma, città aperta, Roberto Rossellini, 1945.



I FIGLI DI ROMA CITTA APERTA - LAURA MUSCARDIN (2005)

TITULO I Figli di Roma Città Aperta
AÑO 2005
SUBTITULOS Si (Incrustados)
DURACION 52 min.
DIRECCION Laura Muscardin
GUION Laura Muscardin
MONTAJE Roberto Martucci
FOTOGRAFIA Maria Teresa Punzi
GENERO Documental
PRODUCCION Nuvola Film; en colaboración con RTSI Televisione Svizzera
PREMIOS Y FESTIVALESMUMBAI INTERNATIONAL FILM FESTIVAL 2006: Global Vision
FORT LAUDERDALE INTERNATIONAL FILM FESTIVAL 2005: Documentary
TRIBECA FILM FESTIVAL 2005: Wide Angle
PROTAGONISTAS Vito Annicchiarico, Luca Magnani, Renzo Rossellini, Claudio Venturini

SINOPSIS Nell’ anno del sessantesimo anniversario dalle riprese del pluricelebrato capolavoro di Roberto Rossellini “Roma Città Aperta” abbiamo fatto una passeggiata nei luoghi della memoria del film insieme all’unico testimone diretto della lavorazione ancora in vita: Vito Annicchiarico.

Note:
Il documentario è tratto dal film "Roma Città Aperta" (1945, Italia, 103', produzione Minerva) di Roberto Rossellini con Aldo Fabrizi, Anna Magnani, Marcello Pagliero, Vito Annichiarico e Nando Bruno.
Nel documentario si ripercorrono i luoghi e i ricordi del film assieme all’unico testimone diretto della lavorazione, Vito Annicchiarico, il piccolo interprete del personaggio di Bruno (il figlio di Anna Magnani). Interviste ai figli di Anna Magnani, di Rossellini e di Venturini, l’uomo che produsse il film...
(continua). La figura di Venturini viene decisamente esaltata come il grossista di lana che si innamorò dell’idea del giovane Rossellini di fare un film su Roma sotto il periodo dell’occupazione fascista. Il film era già in produzione ed il produttore, Peppino Amato, lo abbandonò lasciando il posto a Venturini che lo finanziò.


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