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jueves, 13 de octubre de 2011

I nostri anni - Daniele Gaglianone (2000)


TÍTULO I nostri anni
AÑO 2000
IDIOMA Italiano 
SUBTITULOS No
DURACIÓN 88 min.
DIRECTOR Daniele Gaglianone
GUIÓN Daniele Gaglianone, Giaime Alonge 
MÚSICA Monica Affatato, Daniele Gaglianone, Massimo Miride, Giuseppe Napoli
FOTOGRAFÍA Gherardo Gossi (B&W)
REPARTO Virgilio Biei, Giuseppe Boccalatte, Piero Franzo, Massimo Miride
PRODUCTORA Pablo / Telepiù / Zebra Productions
GÉNERO Documental. Drama. Bélico

SINOPSIS Veteranos de la resistencia antifascista se reencuentran décadas después. Uno de ellos hace un descubrimiento inquietante: un conocido fue responsable de una terrible masacre. A partir de allí se encadena una reflexión sobre la responsabilidad, el olvido, el perdón... (FILMAFFINITY)


Durante la guerra, Alberto e Natalino, legati da forte amicizia, hanno condiviso l'esperienza partigiana sulle montagne del Piemonte. Oggi, anziani, hanno vite diverse: Natalino vive da tempo solo in un vecchio borgo quasi disabitato, Alberto è in un pensionato dove trascorre l'estate. Natalino viene contattato da un ricercatore universitario e durante un'intervista rievoca il periodo della resistenza. Alberto entra in confidenza con un'altro ospite del pensionato, Umberto, un coetaneo costretto sulla sedia a rotelle. Ecco in flashback immagini di partigiani in fuga nei boschi durante un rastrellamento. Insieme a Natalino e Alberto c'è Silurino, gravemente ferito. Trasportare lui e gli altri non è più possibile. Natalino va in cerca di aiuto, Alberto resta con gli altri e, dopo un po', si allontana per vedere se l'amico è di ritorno. Sta per recuperare la posizione, quando arrivano le brigate nere. Da dietro i cespugli, Alberto assiste al massacro di Silurino e dei compagni. Nel pensionato un giorno Alberto fa una scoperta inattesa: Umberto è l'ufficiale delle brigate nere responsabile di quell'eccidio nei boschi. Sconvolto, Alberto corre a rivelare tutto a Natalino. Non c'è che una soluzione: uccidere Umberto. Insieme preparano l'agguato, ma sono lenti e goffi, e il piano non riesce. Vengono portati via dai carabinieri, ma dentro di loro hanno verificato che lo spirito di ribellione è rimasto intatto.
http://www.cinemaitaliano.info/inostrianni

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La Resistenza, un tema antico. Quasi sempre affrontato in chiave realistica, se non addirittura documentaristica. Eppure la memoria rielabora in maniera fantastica (talvolta sinistra) ogni tipo di ricordo, anche i drammi. E’ a partire da questo punto di vista che il regista esordiente Daniele Gaglianone (34 anni) ha affrontato il tema, nonostante la sua profonda conoscenza storica del periodo (da anni collabora con l’Archivio Nazionale della Resistenza). In chiave interiore, più che intimistica: due vecchi incontrano per caso il gerarca fascista responsabile di una terribile strage, e non sanno se perdonare o vendicare. Il passato si mescola allora con il presente, fino ad una terza dimensione che diventa vero e proprio personaggio, nel finale: la decisione presa dai due si rivelerà fallimentare ed allora, per non “morire”, i vecchi costruiranno un giochino interiore perverso capace di porre rimedio ad ogni dolore… La bellezza del film sta nell’aver concentrato la propria attenzione narrativa sulle sensazioni, e non sui fatti: questo attraverso un bianco e nero più che differenziato, e per mezzo di un’attenzione più che maniacale ai suoni di fuori e di dentro. Già presentato in concorso al Torino Film Festival, I nostri anni mostra uno stile assolutamente autoriale e personale.
“Questa è l’Italia che abbiamo imparato ad amare e conoscere e questo è il cinema che la rappresenta meglio – ha detto la delegata generale della Quinzaine, Marie-Pierre Macia intervenendo ad un incontro organizzato nel padiglione di Italia Cinema, Cinecittà a Cannes – e questo film ci fa molto sperare per una vera primavera della vostra cinematografia. Crediamo che presentarlo proprio oggi abbia un senso preciso del quale siamo orgogliosi”.
“I nostri anni” racconta, come dice il regista, “una storia di ragazzi che oggi sono diventati anziani. Quando ho cominciato a lavorarci incontrando alcuni ex partigiani, mi sono reso subito conto con sorpresa che mi trattavano da ragazzino benché io abbia già 30 anni suonati. Ma quando loro scrissero pagine decisive per la libertà nel nostro paese avevano molti meno anni di me, qualcuno meno di 18. Per questo, mi sembra di aver fatto un film di giovani e per questo sono fiero che, nelle molte anteprime scolastiche organizzate, siano proprio gli adolescenti il pubblico più interessato”.
http://www.comune.pinerolo.to.it/vivere_turi/manifestazioni/2007/07_25aprile.htm



Dichiarazioni
«I nostri anni nasce dall’incontro con ex partigiani e dall’ascolto delle loro storie. Esperienze fatte e vissute quando loro erano giovani, più giovani di me che li stavo intervistando, mentre di fronte a me avevo dei vecchi. La genesi del film è sicuramente legata alla collaborazione con l’Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza (ANCR) e all’incontro con Paolo Gobetti, e all’opportunità che ho avuto di conoscere molti ex partigiani, in particolare quelli del video Cichero e soprattutto Giambattista Lazagna. Spesso alla fine delle interviste condotte da Paolo chiedevo ai testimoni come si sarebbero comportati se si fossero imbattuti non in un generico vecchio nemico, ma in un individuo direttamente responsabile d un loro grande dolore provato ai tempi della lotta partigiana. Dalla loro risposta emergeva l’atteggiamento generale nei confronti di quel loro passato» (D. Gaglianone, in G. Carluccio, A. Catacchio, Absolute beginners. Gaglianone/Verra, Fai, Torino, s.i.d.).
«Il riferimento principale è stato il cinema russo degli anno 70-80; […] registi come Tarkovski, Klimov, Sokurov e pochi altri. Questi film, rivisti parecchi anni dopo le mie frequenazioni cinefile, mi hanno colpito per la loro incredibile modernità di linguaggio» (G. Gossi, Ibidem).
Daniele Gaglianone esordisce nel lungometraggio con una storia di impotenza e ossessione: impotenza di fronte al massacro di un compagno durante la Resistenza, ossessione per il ricordo che continua a dolere anche dopo tanti anni. Ancora una volta il regista anconetano mescola presente e passato (in particolare, il periodo storico da lui prediletto, la Resistenza) con uno stile ruvido, rigoroso ed essenziale. I rimandi tra presente e passato sono resi dal regista anche tramite la scelta dei luoghi: ad esempio i pilastri di una stazione ferroviaria deserta (quella di Torino Lingotto), in cui all’inizio del film Alberto passeggia da solo, evocano visivamente le betulle dei boschi in cui si consumarono le vicende del protagonista da giovane.
«Non so se si possa dire che il film di Daniele Gaglianone è un film sulla Resistenza. Certamente è un film sulla memoria della resistenza, laddove però l’accento è, propriamente, sulla parola “memoria”. Memoria intesa nel senso di un raccordo tra un adesso, un oggi, un presente, e un prima, un ieri, un passato. E questo raccordo si dà come una commistione, una sovrapposizione indiscernibile, un incastro, tra frammenti di tempo. Un tempo, comunque, soggettivo, lirico, dove i riferimenti alla Storia (con la esse maiuscola) sono fortemente filtrati da angolazioni individuali, da storie (con la esse minuscola) che la attraversano e ne vengono attraversate, definitivamente, ma in una prospettiva interiore. […] I nostri anni è anche un film sulla vecchiaia in senso biologico ed esistenziale, sulla devastazione fisica. Sulla memoria in senso storico, ma anche sulla memoria in senso neurobiologico» (G. Carluccio, in G. Carluccio, A. Catacchio, Absolute beginners. Gaglianone/Verra, Fai, Torino, s.i.d.).
Il modo in cui il regista parla di Resistenza e di memoria non è dunque affatto banale, perché «trova un’angolazione originale nel recuperare della lotta resistenziale il sentimento di una quotidianità a rischio tra fame, freddo e paura piuttosto che gli aspetti ideologico-politici. Non perché il film manchi di un punto di vista (non c’è dubbio su qual è “la parte giusta”, come da recente intervento di Norberto Bobbio), ma al giovane cineasta i due protagonisti […] interessano soprattutto in quanto portatori, nella mediocre piattezza dell’oggi, del segno di un vissuto vero, del soffio di un impeto giovanile che ancora vibra» (L. Tornabuoni, “La Stampa”, 25.11.2000).
Gaglianone insomma riesce a soggettivizzare un argomento che è “difficile” da affrontare, quello del “peso” che la Resistenza ha nella vita individuale e collettiva di oggi. Egli compie questa operazione attraverso una raffinata ricerca sulla forma, sullo stile, sui mezzi espressivi che il cinema gli mette a disposizione.
In questo film assistiamo ad una raffinatissima sperimentazione a livello fotografico, per cui ogni personaggio ed ogni situazione sono caratterizzati da particolari soluzioni visive: ad esempio la perenne inquietudine di Alberto è rappresentata tramite continue carrellate che riprendono il personaggio nella casa di riposo, mentre Natalino – che vive un’esistenza solitaria, con i ritmi del tempo antico – viene ripreso con inquadrature fisse. Inoltre nel film, per distinguere i diversi “climi” interiori e sancire la distanza tra il presente, la memoria del passato e la visione angosciosa di esso, sono stati utilizzati quattro diversi tipi di pellicola a 16mm con diversa sensibilità, una pellicola Super8 e una pellicola a colori poi stampata in bianco e nero. Quest’ultima produce immagini sgranatissime e risulta funzionale per i momenti in cui prevale la dimensione dell’incubo. «Queste differenze non sono forse percepite coscientemente dallo spettatore, ma credo che abbiano un peso fondamentale nella resa emozionale del film» (D. Gaglianone, Ibidem). Quella di Gaglianone è infatti essenzialmente una ricerca sulla possibilità che il cinema offre di far sperimentare al pubblico l’esperienza soggettiva dei grandi eventi della storia umana.
«Riconciliarsi con i vecchi ne­mici, con quei fascisti che tor­turarono e fecero strage dei partigiani, non è possibile. Netta presa di posizione, in epoca di revisionismi e slanci conciliatori, dell'esordiente al lungometraggio Daniele Ga­glianone, che firma I nostri an­ni avendo alle spalle molteplici esperienze nel cinema corto. […] I nostri anni propone una com­plessa tessitura formale, che dà spessore problematico a un intreccio dal sapore volutamente paradossale. Girato in bianco e nero, c'è anzitutto un intenso lavoro sulla luce: ora forte­mente contrastata, ora cupa e grigia, ora sovraesposta. L'uso frequente della macchina a ma­no mira al coinvolgimento del­lo spettatore, ma anche alla de­stabilizzazione di una visione accomodante. Il montaggio, in­fine, estremamente elaborato, punta direttamente a un corto circuito temporale, che scom­pone non solo il macro ordine cronologico tra passato e presente, ma la stessa successione temporale degli atti più banali, come sedersi e mangiare, attra­versare gli spazi della casa di cura, e così via. Non altrettanto elaborata è purtroppo la struttura drammaturgica del film, a tratti ridondante, bloccata nell'ossessiva ripetizione di al­cuni passaggi narrativi, che non contribuiscono a dare lie­vito e respiro ai personaggi e alla loro fraterna amicizia» (A. Medici, “Cinemasessanta” n. 4/260, luglio-agosto 2001).

«Dalla Nubericordoossessione, alla Resistenza. Sogno straubiano concretizzatosi in realtà. Passaggio cruciale che dal "sogno di una cosa", passa allo sguardo oggettivo e disperato sui contorni di un qualcosa che non si può cambiare. [...] E il film di Gaglianone è una riflessione sul Tempo attraversato dal flusso vitale del ricordo, una meditazione astratta (eppure attraversata da straordinari furori "fattuali") sull'Esistenza e il suo Senso. Senso dell'agire, senso del pensiero, senso dell'atto ri-figurato in una mancanza di tempo, che occupa con la propria inquietudine ancestrale ogni brandello di carne, ogni porzione di spazio. Ed è proprio l'ansia del ripercorrere e di ri-vivere un certo passato che ci salta agli occhi con l'evidenza chiara dell'utopia, con la forza parossistica della dichiarazione d'intenti mostrata sul suo farsi. [...] in Gaglianone la parola perde quasi di senso (tutte le sequenze a esempio nelle quali Alberto proferisce parole incomprensibili) rispetto all'immagine. Ai suoi contorni. AI suo colore. Dialettica del senso visivo quindi, messa in atto da una messinscena che lavora sul senso del visto, ma anche del sentito per tessere una toponomastica impazzita di voci, suoni, lamenti, imprecazioni. Tutte unità sparse, svincolate da un centro immobile, inserite all'interno di un tessuto molecolare che assume tante forme diverse quante sono i livelli di fruizione del reale, del visibile, del filmato. Solo da quest'ottica è possibile ricavare i contorni precisi dell'immagine. Centrale, ma al tempo stesso decentrata da un contesto fruitivo organico e veloce. Lanciandoci in un paradosso pericoloso, ma interessante, potremmo definirla anche come la grande assente dell'opera» (F. Ruggeri, “Film” n. 52, luglio-agosto 2001).
«[...] oltre la metà del film, l nostri anni cambia registro, per passare dal dramma della rievocazione alla commedia in stile Vivere alla grande di Martin Brest, in cui la memoria del passato sembra lasciare spazio allo sberleffo alla vita, al gesto impossibile che dia ancora un senso all'esistenza e insieme riconcili i protagonisti con se stessi e con i propri ricordi. La dimensione visiva stessa del film muta il suo carattere fortemente emotivo della prima parte, in un gioco di sguardi, occhiate, coincidenze: il guasto all'automobile, l'arrivo dei carabinieri, la figura del rockettaro all'osteria. Tutto viene visto e vissuto con ritrovata ironia, con la scoperta di una nuova identità, anche all'ultimo momento, davanti all'aguzzino di un tempo. Qualsiasi ne sia l'esito finale, potranno nuovamente ritrovarsi nella radura del bosco di betulle, con Silurino e gli altri, a ridere e gioire. Gaglianone [...] conosce la materia filmica e la storia della Resistenza: così si giustificano anche le immagini sgranate, in bianco e nero. Ma più che un film sulla, I nostri anni - quelli che i protagonisti hanno vissuto e lasciato per strada - è un film della resistenza, quella attuata dagli stessi per continuare a vivere nonostante i rimorsi e i complessi di colpa. [...] Cinema-verità e verità del cinema: dimenticare, andare oltre, perdonare, vendicare sono parole chiave sino al momento dell'azione. Poi esse diventano solo pretesti: la Resistenza è parte dell'Esistenza, parte integrante del mestiere di vivere. La riconciliazione è invece un atto personale, che aiuta a sopravvivere: i due vecchi partigiani cercano - nel gesto - qualcosa che li aiuti a sopportare il peso della memoria, a ritrovare dimensioni affettive e storiche ormai perdute. Ogni altra riconciliazione è una forzatura storica» (M Gottardi, “Segnocinema” n. 110, luglio-agosto 2001).
«I nostri anni non è un film facile, ma è un film “povero” che usa (osa) un linguaggio emotivo (Gaglianone impasta video, pellicola e super8) dove conta il sentire ma anche l'udire (i rumori, i suoni, i bisbigli, la musica), il vedere ma anche il percepire, il ricordare ma anche lo specchiarsi, realtà ma anche il sogno. E intromettono molto bene questo stream of consciousness poetico-politico i due interpreti del film, Virgilio Bei e Piero Fanzo, attori non professionisti ex militanti della Resistenza» (F. Bo, “Il Messaggero”, 18.5.2001).
Infatti i protagonisti, Piero Fanzo e Virgilio Biei, sono stati partigiani, e quest’ultimo ha avuto durante la Resistenza un’esperienza molto simile a quella mostrata nel film. Giuseppe Boccalate, che interpreta il ruolo dell’ex fascista, ha qualche esperienza di recitazione in un gruppo teatrale dell’Università della Terza Età.
Davide Larocca
http://cinemainpiemonte.it/schedafilm.php?film_id=48



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