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sábado, 23 de junio de 2012

Cantando dietro i paraventi - Ermanno Olmi (2003)


TÍTULO ORIGINAL Cantando dietro i paraventi
AÑO 2003
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Español e Italiano (Separados)
DURACIÓN 98 min. 
DIRECTOR Ermanno Olmi
GUIÓN Ermanno Olmi (Historia: Jorge Luis Borges)
MÚSICA Han Yong
FOTOGRAFÍA Fabio Olmi
REPARTO Bud Spencer, Jun Ichikawa, Sally Ming Zeo Ni, Camillo Grassi, Makoto Kobayashi, Wen Li Guang, Chen Ruohao, Davide Dragonetti
PRODUCTORA Coproducción Italia-Reino Unido-Francia; Cinema 11 / Ministero per i Beni e le Attività Culturali / Pierre Grise Productions / RAI Cinema
PREMIOS 2003: Premios David di Donatello: 3 premios. 5 nominaciones
GÉNERO Aventuras. Drama | Piratas
 
SINOPSIS Película de piratas basada en un personaje al parecer auténtico, la viuda Chin, quien, al ser envenenado su marido, un corsario chino, tomó las riendas del oficio, asaltando barcos y aldeas, para indignación del emperador. (FILMAFFINITY)




"La luna si affaccia su ogni specchio d'acqua, ma la luna vera è solamente una."


SOGGETTO
Ispirato ai documenti conservati negli archivi di Pechino "Memorie concernenti il sud delle montagne Meihling" e all'opera del poeta cinese Yuentsze Yunglun dedicata alla "Piratessa Ching" pubblicata a Canton nel 1830.

CRITICA
"'Cantando dietro i paraventi' è l'esatto contrario dell'imminente 'Kill Bill': se Quentin Tarantino dichiara guerra al mondo intero in nome della vendetta, Ermanno Olmi invoca la pace nel segno del reciproco perdono. Chissà se in futuro qualcuno, evocando i massacri senza fine del 2003, vedrà nella contrapposizione di due film particolarmente significativi la proiezione dell'opposto atteggiamento che divide l'Europa dall'America. (...) Questo è forse il primo film di pirati senza scene cruente: in un quadro di violenza implicita, l'unico arrembaggio è la presa di possesso di una nave che non fa resistenza. Sostenuto da un'antologia musicale che sembra il parto di un compositore solo, 'Cantando dietro i paraventi' emana l'affascinante splendore di un mito sul quale riflettere pur senza intenderlo fino in fondo. Per goderne bisogna dimenticare il cinema dello spettacolo convenzionale. Non a caso la bella studentessa di architettura, Jun Ichikawa, incarnante la vedova Chin, parla della sua avventura come di un'esperienza spirituale".
(Tullio Kezich, 'Corriere della Sera', 18 ottobre 2003)

"Dalla Storia alla leggenda. Dalla guerra alla pace. Dall'Italia alla Cina, una Cina tutta esotica, filtrata con sensibilità e fantasia occidentali. Il nuovo film di Ermanno Olmi, 'Cantando dietro i paraventi', non potrebbe essere più diverso dal 'Mestiere delle armi', il capolavoro con cui il grande regista tornò al cinema dopo un silenzio durato cinque anni. Eppure sono, ognuno a suo modo, due film politici. (...) Paesaggi rapinosi. Cambi di tono e di ritmo continui. Dialoghi costellati di trasparenti allusioni al presente (al governo fischieranno le orecchie). Una colonna sonora incalzante e composita (Han Yong, Stravinskij, Berlioz, Ravel, canti popolari cinesi) che ora esalta, ora congela l'emozione. 'Cantando dietro i paraventi' non è forse il più bel film di Olmi, certo è il più libero e imprevedibile. Anche se tanta libertà finisce per servire un 'discorso' così esplicito da usare le immagini, a differenza che nel 'Mestiere delle armi', dove il senso scaturiva direttamente dal film. Si può ammirare il coraggioso, e sfarzoso, tour de force . Noi preferiamo il rigore dell'Olmi storico."
(Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 24 ottobre 2003)

"Di fronte a questa favola meravigliosa e necessaria nata in un tempo cinese fantastico che parla di oggi, si resta in dubbio se amare di più l'uomo Ermanno o il regista Olmi. Risposta: entrambi. 'Cantando dietro i paraventi' è un affascinante capolavoro che parla della fatica necessaria della pace senza mostrare un rivolo di sangue: l'altra faccia di Tarantino. (...) Tutta l'appassionante favola, mediata dal ralenti della memoria, è un omaggio al teatro di Brecht-Strehler, con le sue anime buone, ma anche alla saggezza impetuosa di Kurosawa. Complementare al 'Mestiere delle armi', il film del gran lombardo manzoniano parla delle necessità del perdono, senz'ombra di retorica: la parabola entra nella coscienza e si sistema lì per sempre."
(Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 25 ottobre 2003)

"Olmi, e non sarebbe lui sennò, se ne frega altamente dei rozzi sociologismi femministi. Le donne sono fatte per donare serenità e per cantare discretamente dietro i paraventi, come la pioggia per bagnare i campi e il sole per riscaldare. Se poi pirati, azionisti e imperatori odierni abbiano voglia di starlo ad ascoltare, purtroppo, è tutt'altro paio di maniche. Unico appunto a un film che riempie gli occhi e il cuore, rispetto al capolavoro che lo ha preceduto, il suo inclinare verso una semplificazione didascalica che eccede la necessità."
(Paolo D'Agostini, 'la Repubblica', 26 ottobre 2003)

E' stato Borges, nella sua Storia universale dell'infamia, a far conoscere alla cultura occidentale la storia della vedova Ching, che costituisce il soggetto dell'ultimo film di Ermanno Olmi (1). Si tratta di una vicenda ambientata in Cina tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo, quando gli azionisti delle ciurme di pirati si uniscono in società e nominano ammiraglio delle loro flotte il valoroso Ching. Per porre fine alle sue scorrerie, l'Imperatore gli offre un posto di comando nell'esercito ufficiale. Venuti a conoscenza dell'abboccamento, gli azionisti fanno avvelenare Ching: ma sua moglie – decisa a vendicarsi – lo sostituisce alla guida delle navi. Per anni i pirati della vedova Ching non conoscono ostacoli. Alla morte dell'Imperatore, i generali inviano ad affrontarla l'ammiraglio Kwo-Lang, che però viene sconfitto e si toglie la vita per il disonore. Al suo posto è nominato il giovane principe imperiale Think-Wei, che costruisce una flotta potentissima e affronta in mare aperto le giunche dei corsari. Ma invece di sparare, Think-Wei invia verso la nave della donna uno stormo di aquiloni recanti un messaggio di pace e di perdono, ricavato dall'antica favola cinese del drago e della farfalla. La piratessa accetta il perdono e pone fine alla guerra.
Olmi tuttavia non si è fermato al racconto di Borges ma si è messo alla ricerca delle fonti storiche antiche, dei documenti di archivio conservati a Pechino e di un poema del 1830 intitolato La piratessa Ching, da un verso del quale è ricavato il titolo del film (2). Come era già accaduto per il Mestiere delle armi, quindi, anche Cantando dietro i paraventi nasce da una ricerca storiografica di grande impegno, dalla curiosità suscitata da vicende remote che hanno spinto il regista a tentare una riesumazione e una riattualizzazione del passato.
Occorre comunque precisare che – a differenza del Mestiere delle armi, insieme al quale costituisce un dittico sulla guerra e sulla pace – Cantando dietro i paraventi non è un film storico. Il cinema storico non si definisce sulla base della storicità della materia: piuttosto è una categoria stilistica, un modo di presentare e di circoscrivere gli avvenimenti. Il Mestiere delle armi ad esempio è un film storico non perché non si discosti mai dai documenti d'archivio, ma perché esibisce la propria storicità attraverso cartine d'epoca, fonti epistolografiche, didascalie eccetera, che collocano la vicenda in un'ambientazione spaziale e temporale determinatissima (3). In Cantando dietro i paraventi, al contrario, la storia rimane come in filigrana, perché ogni determinazione particolare è stata stilizzata e per così dire trasfigurata in forme astratte, in uno spazio e in un tempo che sono la Cina antica soltanto per via di un'adesione del regista a un'iconologia convenzionale, ma che potrebbero essere trasferiti in un altro spazio e in un altro tempo. Cantando dietro ai paraventi appartiene, come ha dichiarato più volte il regista, al regno della favola.
Se ne ripercorriamo tutta la filmografia, possiamo notare come Olmi abbia mutato nel corso degli anni le sue modalità di osservazione del reale. Nei primi quindici anni di attività, da Il tempo si è fermato (1959) fino alla Circostanza (1974), c'è un interesse a compiere un'analisi diretta della società contemporanea, una curiosità a scandagliare la realtà a noi più prossima, i cambiamenti sociali che coinvolgono le relazioni lavorative e familiari. A partire dall'Albero degli zoccoli (1978) abbiamo invece uno sguardo indiretto, mediato dalla storia, dalla favola, dalla letteratura: è un'opzione a favore del simbolo e dell'allegoria, dei significati universali. Per meglio comprendere la realtà, Olmi capisce che è necessario retrocedere, distanziarsi dal proprio oggetto. Come fa – nel Barone rampante di Calvino – il conte Cosimo, che sale sugli alberi per meglio vedere la terra. In questa seconda fase si inserisce in modo molto naturale anche Cantando dietro i paraventi, che trasporta sul piano della favola – genere già sperimentato da Olmi altre volte, ad esempio nel Segreto del bosco vecchio – i temi e i motivi che nel Mestiere delle armi erano stati ricercati sul terreno della storia.
La favola di Olmi è ovviamente un genere ricreato ex novo assemblando elementi tradizionali. Se pensiamo ad esempio all'ambientazione, questa Cina che non è un paese storicamente reale ma piuttosto un luogo del sogno di cui possiamo trovare precedenti, per fare un esempio, nelle favole teatrali di Carlo Gozzi, autore della celebre Turandot poi musicata da Puccini. A questo tipo di esotismo fiabesco manca il fantastico inteso in senso classico come infrazione delle leggi naturali (prodigi, mostri, magie), cui fa posto un'interpretazione trasognata, indeterminata e lirica degli elementi naturali, del mare, del cielo, della luna. Il fantastico cioè non è dato dal profilmico in sé, ma dallo sguardo con cui il regista lo osserva sottraendogli peso e fisicità, trasfigurandolo in una fotografia molto colorata. Da questo punto di vista i colori accesi di Cantando dietro i paraventi si oppongono in modo netto alle ombre e ai chiaroscuri del Mestiere delle armi, dove dominava una diversa concezione pittorica, volta ad accentuare la realtà e la materia.
Evidente è poi il carattere morale della favola: non solo perché si tratta di un apologo che riserva al finale il manifestarsi completo di un insegnamento; ma anche per la sua struttura aforistica. Motti e proverbi quali "dinanzi a un gesto gentile bisogna deporre la spada", "se hai due soldi, uno spendilo per il pane, con l'altro compra giacinti per il tuo spirito", "non siamo che vapori dispersi nell'aria, ramoscelli spezzati dalla furia del vento" ci riportano alla sentenziosità apodittica che è comune alla letteratura cinese, alle favole classiche occidentali e alle parabole evangeliche.
In senso molto generale, possiamo provare ad applicare alla favola di Olmi le funzioni elaborate da Propp (4) e leggere in questa chiave la struttura narrativa del film, che in effetti inizia con una serie di perdite che hanno bisogno di essere colmate: i villaggi cinesi perdono la pace a causa delle scorrerie dei pirati, l'ammiraglio Ching perde la vita, la vedova perde la propria identità femminile. I personaggi credono che la guerra e la vendetta siano gli strumenti con cui potranno compensare le perdite. L'evento prodigioso che spezza la catena dell'odio e sana la ferita inferta alla convivenza sociale è dato dall'episodio degli aquiloni, dal perdono offerto dal Principe che svolge la funzione del salvatore. Non è un miracolo in senso classico, perché non comporta un'infrazione delle leggi naturali. Ma è un miracolo di natura "etica" perché smentisce la natura dell'uomo e la sua propensione al conflitto.
Eppure il gesto di perdono del Principe non basta da solo a portare la salvezza: necessita di una risposta favorevole da parte dell'eroina, che è chiamata a superare una prova. Il senso del finale del film è che la vedova deve essere in grado di comporre il rebus degli aquiloni: la pace è un "segno" e come tale bisogna saperlo cogliere e decifrare.
Non abbiamo ancora detto che la vicenda è inserita in una cornice narrativa molto complessa, che ci ricorda come Olmi sia – prima ancora che un regista "di contenuti" – un narratore complesso e un grande sperimentatore di soluzioni narrative. La cornice contiene – per utilizzare il linguaggio dei semiologi – delle marche metalinguistiche molto evidenti: una figura vicaria dello spettatore e una figura omologa del narratore.
Un ragazzo occidentale si reca in taxi a un convegno sulla cosmologia. Sbaglia indirizzo e si ritrova in un edificio che ospita contemporaneamente un bordello e un teatro cinesi. Mentre il ragazzo finisce nelle stanze delle concubine, sul palcoscenico teatrale un ex capitano della marina spagnola introduce la rappresentazione della vicenda della piratessa Ching. Come ha spiegato il regista, il ragazzo è una figurativizzazione dello spettatore: "può rappresentare la nostra condizione se siamo in uno stato ideale per recepire una favola. Il giovane, in cerca di un convegno di cosmologia, arriva in teatro dove è costretto ad abbassare lo sguardo dal cielo verso la materialità delle cose terrene. Per guardare il cielo bisogna partire dalla terra altrimenti non si è neanche più in grado di riconoscere il cielo" (5). Il ragazzo ha in mano un pacco regalo. Nel finale una concubina lo scarta estraendone un libro non meglio identificato, che potrebbe essere il poema di Yuentsze Yunglun sulla Piratessa Ching.
Il capitano della marina spagnola (interpretato da Carlo Pedersoli) è invece una figura del regista/narratore, ma contemporaneamente è un protagonista degli eventi narrati, un membro dell'equipaggio della piratessa. Alla funzione del narratore si aggiunge insomma quella testimoniale, di garante della veridicità e della storicità della favola. Alla quale possiamo sommarne una terza, fondamentale: la funzione ironica, tramite la quale il capitano smorza le passioni umane e ne sottolinea, con sorriso affettuoso, la follia.
Con Cantando dietro i paraventi Olmi è tornato alle origini della propria formazione intellettuale, che è avvenuta proprio sui classici del teatro. La storia viene raccontata alternando scene teatrali a scene cinematografiche pure, girate all'aperto, sulle navi dei pirati. Nelle prime la regia ha voluto sottolineare l'apparato scenico, i fondali e le quinte, i trucchi, diciamo l'aspetto artigianale del teatro, mettendo in evidenza – secondo una sensibilità tipicamente olmiana – il tema del mestiere.
Anche nella stiva della nave della piratessa si svolgono mimi e rappresentazioni drammatiche. Ma in generale, occorre evidenziare come l'impianto narrativo di tutto il film – anche nelle sequenze che abbiamo definito "cinematografiche" – è di natura teatrale assai più che cinematografica: non c'è una linea narrativa progressiva, ma piuttosto delle antitesi drammatiche, una contrapposizione di forze e blocchi statici, tanto che possiamo affermare che il regista avrebbe potuto ambientare in teatro anche le scene dei combattimenti navali e delle scorrerie, ricorrendo a navi stilizzate. Persino l'immagine risente di questa staticità, visto che le inquadrature fisse prevalgono sui movimenti di macchina e che dal punto di vista figurativo Cantando dietro i paraventi si presenta come una successione di grandi quadri e affreschi.
Per illustrare i motivi di questa alternanza fra teatro e cinema all'interno della pellicola, Olmi ha dichiarato che "il teatro ha come sua naturale propensione quella di distillare un pensiero. Il cinema è grande dispensatore di emozioni. Ho cercato di far convivere i due mondi". In realtà l'interazione tra sequenze teatrali e sequenze cinematografiche non si limita all'alternanza tra pensiero e pathos, o pensiero e azione, ma avviene su una gamma più variegata di livelli. Le parti teatrali svolgono innanzi tutto una funzione didascalica: introducono l'azione e la contestualizzano dal punto di vista storico, cosa che nel Mestiere delle armi veniva svolta dalla voce fuori campo, dalle mappe in sovraimpressione e dalle didascalie. In secondo luogo, il teatro introduce una figurazione plastica e allegorica che integra l'azione: ad esempio l'avvelenamento dell'ammiraglio Ching viene anticipato sul palcoscenico per via indiretta, mediante l'avvelenamento del pesce, secondo la regola del teatro classico che la morte non può essere mostrata sul palcoscenico.
Molte recensioni hanno notato una carica insolitamente sensuale in questo film, che presenta infatti molte scene di nudo femminile. Questo aspetto viene rilevato proprio perché si tratta di Olmi, di un regista cioè che per pigrizia intellettuale abbiamo incasellato in una certa categoria, pensandolo un po' come se fosse un san Luigi del cinema italiano. Questo elemento di sensualità credo che rivesta una precisa funzione all'interno del racconto, quella di sottolineare la femminilità della piratessa e, di conseguenza, accentuare l'ossimoro costituito dalla donna-guerriera.
Quello della donna-guerriera è un topos della letteratura classica: basta riandare alle pagine dei nostri libri di scuola. Nel VI canto della Gerusalemme Liberata – per fare un esempio illustre – Erminia decide di entrare nel campo di battaglia per salvare l'amato Tancredi. Il passaggio dell'elemento femminile nell'agone bellico è sottolineato dal gesto rituale di indossare l'armatura guerriera. Per passare dal romanzesco all'epico, Erminia deve perdere la propria femminilità attraverso il rito iniziatico della vestizione dell'armatura.
Olmi aveva sperimentato questo tipo di commistioni già nel Mestiere delle armi, là dove l'amante di Giovanni de' Medici attraversava notte tempo il campo di battaglia, oltrepassando lo spazio erotico-romanzesco per addentrarsi in quello epico-cavalleresco. In Cantando dietro i paraventi, la vedova Ching compie l'ossimoro nella sua interezza: per questo la regia insiste tanto sui due poli opposti della nudità corporea (femminilità) e dell'armatura guerriera (virilità). L'assurdità della guerra opera un sovvertimento della realtà naturale, solo la pace potrà riportare le donne a "cantare dietro i paraventi".
E' chiaro che Olmi sta proseguendo il discorso sulla guerra iniziato nel film precedente. I primi piani delle bocche da fuoco dei cannoni contenuti in Cantando dietro i paraventi ci riportano ai temi e al repertorio iconico del Mestiere delle armi dove Olmi – rifacendosi in alcune sequenze all'Età del ferro di Rossellini – metteva in campo una riflessione sulla spersonalizzazione del conflitto bellico causata dall'introduzione delle armi da sparo. Ora il discorso si sposta su un altro versante, sullo stravolgimento della natura femminile provocato dall'odio della guerra, e questa innaturalezza è smascherata – come già avveniva nel Mestiere delle armi – dallo sguardo muto dei bambini. In una sequenza, in particolare, la donna-guerriera si imbatte in un bambino che potrebbe essere suo figlio e che in ogni caso la riconduce per un istante alla funzione materna che la vedova Ching ha cancellato in se stessa.
Una delle cifre stilistiche di tutto il cinema di Olmi sta nella mescolanza di diversi piani temporali all'interno di una stessa sequenza, nell'utilizzo del flashback e del flashforward (o flashback di anticipo) per ricostruire la complessità interiore dell'individuo, che vive il tempo presente rivolto verso il passato e proiettato verso il futuro.
In Cantando questa scomposizione dei piani temporali avviene solo in un paio di casi: quando la vedova desidera uno dei suoi marinai e contemporaneamente è assalita dal ricordo del marito e quando ripercorre – prima di scegliere se accettare o meno il perdono del principe – le tappe della propria scelta e rivede le immagini del passato (l'armatura, il marito… le ragioni del suo odio). La scomposizione temporale risulta in sostanza piuttosto attenuata rispetto ad altri film di Olmi: in parte perché il tempo della favola è per natura un tempo sospeso; in parte perché Cantando si basa su un altro asse di scomposizioni, quello tra il tempo del teatro e quello del cinema, quello dell'oggi e quello dell'ieri. Paradossalmente, il tempo della favola – che dovrebbe essere quello del passato, vista la storicità del soggetto – finisce per essere quello del futuro, dell'utopia, del sogno dell'umanità ancora da realizzare.

(1) J.L. BORGES, Storia universale dell'infamia, Il Saggiatore, Milano 1961: Un pirata: la vedova Ching, pp. 37-43.
(2) Le fonti sono elencate sul sito ufficiale del film www.mikado.it/cantandodietroiparaventi: Yuentsze Yunglun, La piratessa Ching, Canton 1830; documenti conservati negli archivi di Pechino (Memorie concernenti il Sud delle Montagne Meihiling); History of the Pirates who infested the China Sea, London 1831; Pirates Own Book, Narrative of the Capture and Treatment amongst the Ladrones di Richard Glasspoole. In realtà la History of the Pirates del 1831 sembrerebbe una traduzione del poema cinese, come indicato nel catalogo della British Library: YUNG LUN-YUEN, History of the Pirates who infested the China Sea, from 1807 to 1810. Translated from the Chinese orriginal, with notes and illustrations, by C.F. Neumann, London 1831. In questo caso, si fatica a muoversi tra le fonti di Olmi.
(3) Sulla storicità del Mestiere delle armi rimando a: A. BETTINELLI – E. ZENOBI, Il Mestiere delle armi, "Il Ragazzo Selvaggio", 36 (2002), pp. 20-29.
(4) V. PROPP, Morfologia della fiaba, Einaudi, Torino 1972.
(5) G. BERNONI, Se accetti un gesto gentile devi deporre la spada. Incontro con Ermanno Olmi, "Sentieri Selvaggi", 5/11/2003, http://www.sentieriselvaggi.it/.
http://www.effettonotteonline.com/news/index.php?option=com_content&task=view&id=573&Itemid=23

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