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lunes, 5 de noviembre de 2012

Le parole di mio padre - Francesca Comencini (2001)


TÍTULO ORIGINAL Le parole di mio padre
AÑO 2001
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS No
DURACIÓN 85 min. 
DIRECTOR Francesca Comencini
GUIÓN Francesco Bruni, Francesca Comencini, Richard Nataf (Novela: Italo Svevo)
MÚSICA Ludovico Einaudi
FOTOGRAFÍA Luca Bigazzi
REPARTO Fabrizio Rongione, Chiara Mastroianni, Viola Graziosi, Claudia Coli, Mimmo Calopresti, Toni Bertorelli, Camille Dugay Comencini
PRODUCTORA Bianca Film / Les Films d'Ici / Mikado Film / Ministero per i Beni e le Attività Culturali (MiBAC) / Rai Cinemafiction / Tele+ / arte France Cinéma
PREMIOS 2001: Premios David di Donatello: Nominada Mejor sonido
GÉNERO Drama 

SINOPSIS Zeno tiene 30 años, su juventud se está acabando y su padre acaba de fallecer. Encuentra paz al conocer a Giovanni, el enérgico dueño de una galería que tiene cuatro hijas. Zeno se enamora de una de ellas y Giovanni se convierte en una especie de nuevo padre. (FILMAFFINITY)


Ingiustamente sottovalutato e sconosciuto ai più, "Le parole di mio padre" della regista Francesca Comencini, che ha firmato in seguito "Mi piace lavorare- Mobbing" e "A casa nostra" (in questi giorni sul grande schermo), è un´originale trasposizione cinematografica di due capitoli de "La coscienza di Zeno" (1923), vale a dire "La morte di mio padre" e "La storia del mio matrimonio". Per nulla pretenzioso, il film è liberamente ispirato all´opera di Svevo e si potrebbe dire che sia ambientato ai giorni nostri, ma non è esattamente così. Infatti l´atmosfera è pervasa da una sorta di atemporalità, che rende Zeno, l´indiscusso protagonista, l´emblema dell´uomo incapace di capire sé stesso e di relazionarsi con gli altri. L´ambientazione contemporanea, suggerita dalla presenza di alcuni elementi di modernità, ad esempio il traffico urbano che ci separa da Zeno e consorte nella scena finale, viene quasi smentita dall´aria un po´ antiquata che caratterizza casa Malfenti. La scelta di attualizzare la vicenda nulla ha tolto al romanzo, anzi l´averne selezionato due capitoli fondamentali ha evitato il rischio di non riuscire a rendere adeguatamente questo testo quasi infilmabile (una delle poche trasposizioni è stato lo sceneggiato con Ottavia Piccolo e Johnny Dorelli).
A fare di "Le parole di mio padre", che fin dal titolo richiama l´attenzione sul legame tra genitori e figli, un buon film, capace di far identificare lo spettatore con il tormentato Zeno, sono soprattutto le interpretazioni degli attori, in particolare di Fabrizio Rongione: egli veste i panni dell´incompreso e chiuso protagonista che trova nel signor Malfenti una possibilità per provare finalmente a costruire un vero rapporto padre - figlio e in Augusta una moglie disposta ad amarlo pur non essendo, forse, corrisposta. Infatti nemmeno Zeno sa se quel che prova per lei è amore ma, come constata alla fine, probabilmente questo sentimento è caratterizzato da tale eterno dubbio. Scena clou del film è il dialogo tra Zeno e Malfenti, in cui il giovane fa i conti con il lutto appena subito, confessando al futuro suocero i suoi sensi di colpa per non essere riuscito ad amare il genitore nemmeno quando questi era in punto di morte e rivivendo quella terribile notte. Da questo momento Zeno si sentirà meno estraneo e avrà il coraggio di offrire la sue proposta di matrimonio alle tre sorelle, le quali incarnano ciascuna, esattamente come nel libro, un preciso carattere femminile, senza tuttavia essere stereotipi: Ada (Chiara Mastroianni) è la sorella perfetta e invidiabile, che si cimenta nella recitazione con - non a caso - "Le tre sorelle" di Cechov; Alberta è una fotografa dal carattere indipendente; Augusta, la meno attraente e la più schiva, grazie alla quale Zeno riesce a liberarsi dal fantasma del padre. Infine Anna, che non è in età da marito, con la sua schiettezza sa mettere a disagio il protagonista più di chiunque altro. Rifiutato da Ada, ormai fidanzata con lo snob Guido Speier, e da Alberta che, come lui, vive un difficile rapporto col padre, Zeno non troverà un rimedio alla sua solitudine, racchiusa in quel "Non posso più stare solo", se non in Augusta.
La buona riuscita del film è dovuta, oltre che agli attori, alla fotografia di Luca Bigazzi, che lavora abitualmente per Amelio, Sorrentino e Placido.
http://spigolature.net/joomla/index.php?option=com_content&view=article&id=719:parole-di-mio-padre-le-francesca-comencini-2001&catid=590:pellicole-in-critica-archivio-n-p&Itemid=468
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Il film di Francesca Comencini adotta la tecnica del “liberamente tratto da” operando continue contaminazioni con il mondo della letteratura. Ufficialmente la sceneggiatura si rifà esclusivamente al Capitolo Quarto e Quinto della “Coscienza di Zeno”, tuttavia è innegabile non scorgervi precisi riferimenti alle “Tre Sorelle” di Cechov e ad un preciso lirismo narrativo. La figura di Zeno viene completamente decontestualizzata, rifiutando l’ironia tipica del personaggio sveviano, l’ambientazione si sposta da una Trieste dei primi del Novecento ad una Roma dei giorni nostri: resta soltanto quella classe borghese cui sia Svevo che  Cechov fanno riferimento.
Zeno Cosini (interpretato da Fabrizio Rongione) sembra incapace di ricorrere all’ironia e all’umorismo del romanzo, egli è vittima passiva e malinconica, schiacciato dal peso della morte del padre e dal carisma della famiglia Malfenti. Il film inizia con una citazione letterale dal Capitolo Quarto (“Il mio primo sforzo di ricordare, m’aveva riportato a quella notte, alle ore più importanti della mia vita”) che sembra subito stabilire un contatto con il racconto memoriale di Svevo. Uno Zeno insofferente e smarrito è quello che vediamo accanto al letto del padre moribondo, distante da quello delle pagine dello scrittore triestino. La sua drammaticità, il suo senso di inadeguatezza ci riportano, sin dalle prime scene, al Versinin delle “Tre Sorelle”. Nel film della Comencini, Zeno non ha nulla dell’inetto, la sua sofferenza, la sua malinconia seguono da vicino la sua sensibilità, così profonda e pura, come si evince dalle parole di Giovanni Malfenti (Mimmo Calopresti) “Tu Zeno sei diverso, perché sei colto, ma questo non deve impedirti di vivere”. La continua riflessione che egli fa sulla vita, l’amore per la cultura, per il teatro russo (altro riferimento a Cechov!) si accompagnano ad un’attitudine silenziosa, delicata, atemporale. Zeno si lascia vivere, ma il suo spaesamento è dolce e languido, non ha niente di drammatico e forse nemmeno di conscio, e il suo lasciar correre le cose è conseguenza del dubbio nel quale vive: che il padre, con il suo ultimo gesto prima di morire (uno schiaffo) abbia voluto dirgli che non è mai stato il figlio che aveva desiderato!
E’ proprio la figura del padre ad essere al centro della vita di Zeno, nel film gli scontri e le distanze sono più spietati che nel romanzo. Il silenzio della casa, pur abitata da entrambi, è il silenzio del rapporto padre-figlio. La sceneggiatura consegna a Zeno una battuta più volte ripetuta nel corso del film e non presente in Svevo “Le conversazioni con mio padre erano più che altro dei lunghissimi silenzi”. La malattia del padre assume in Francesca Comencini un tono più drammatico e pungente, facendo da contrappeso alle vicende amorose del personaggio. Scompaiono i dottori, le infermiere, la serva Maria di Svevo, i dialoghi del romanzo vengono caricati di maggiore conflittualità, sempre rivolti a sottolineare lo sdegno e il dolore di uno Zeno sempre rifiutato. Così la scena, presente nel Capitolo Quarto, in cui il padre invita Zeno a guardare fuori dalla finestra qualcosa che il figlio non riesce a scorgere, perde quella leggerezza e quell’ironia tipica di Svevo per addensarsi nel volto del Zeno cinematografico in una smorfia di rancore e compatimento.
Le atmosfere e le ambientazioni seguono da vicino il testo del romanzo, suggerendo così un salto temporale all’indietro, dai nostri giorni agli inizi del Novecento: i colori, l’arredamento, la raffinatezza dell’appartamento hanno senza dubbio un gusto retrò, che si scontra con la città che vive frenetica la modernità.
In questo film, delle madri c’è solo una pallida traccia: le donne non sono madri, ma figlie e compagne. Sono i padri a condizionare le vite dei protagonisti, con pochi gesti e ancora meno parole. L’esistenze dei protagonisti non sono ordinarie (nessuno che faccia l’operaio alla pressa, che fatichi davvero) ma sono invece ordinari i motivi che li spingono ad agire: il senso di inadeguatezza, la ricerca del benessere, il rispetto di certe convenzioni sociali!
La figura di Giovanni Malfenti, anch’egli padre, sembra porsi come antagonista nei confronti del padre di Zeno, è figura raffinata, vincente, attenta alle esigenze della famiglia. Da qui anche la grande distanza dalla descrizione che Svevo propone di lui nel suo romanzo: il Giovanni Malfenti sveviano è sì un borghese benestante, col fiuto per gli affari, commerciante scaltro e senza scrupoli, ma ci appare anche rozzo e privo di cultura, dai modi poco signorili, con una corporatura massiccia e poco aggraziata. Francesca Comencini sceglie di mettere davanti la cinepresa un personaggio di innegabile garbo, commerciante anche lui, è vero, ma di arte, dotato di una spiccata sensibilità estetica, ben vestito, capace di non scadere mai nel banale, ma altrettanto capace di calpestare i sentimenti delle proprie figlie. Ritorna il tema dell’egemonia paterna nelle questioni di famiglia. Nel suo essere figura carismatica il Malfenti del film ci riconduce indubbiamente al testo di Cechov, al rispetto che le figlie hanno per il proprio padre, al rango nobile che l’autore russo gli affida: generale di brigata. E’ proprio Giovanni Malfenti che nel film si lancia in una descrizione, ad un Zeno appena conosciuto, delle proprie figlie, inquadrandole in tratti caratteriali valutati attraverso il suo carattere: Ada “è come me, è vincente, e riuscirà”, Alberta “ha preso da me tutto ciò che ho tentato di tenere nascosto, le ansie e le inquietudini, vuole fare la ribelle ma non ci riesce”, Augusta “è la più fragile”. Zeno lo osserva ammirandolo, così come anche Svevo sottolinea. Ma proprio la mancanza di empatia con il padre (Malfenti ad un certo punto dirà “Mi sento a disagio quando rimango solo con le mie figlie”) condurrà Alberta a tentare il suicidio.
Giovanni Malfenti, contrariamente a quanto narrato da Svevo, intesse con Zeno un rapporto sincero, di profonda ammirazione per la sua cultura, per la sua sensibilità. Egli si fa confessore per il giovane, per le sue ansie, siede dinanzi a Zeno ascoltando la sua storia, diventando tacita proiezione della “coscienza di Zeno”. E’ questo il passaggio più emozionante del film, i due siedono uno di fronte all’altro, parlandosi ed ascoltandosi, toccandosi nel profondo: Giovanni Malfenti confida a Zeno che l’esperienza lavorativa che entrambi hanno vissuto insieme non è da considerarsi fallimentare, seppure lo sembri, lo rassicura proprio nel suo lato debole “Zeno tu sei diverso perché sei colto, ma questo non deve impedirti di vivere”. Il ragazzo si apre: esce dalla sua bocca la minuziosa descrizione degli ultimi attimi di vita del padre, dello schiaffo ricevuto, mai digerito e somatizzato in numerose forme d’insicurezza.
In quel preciso istante, nel film, i due divengono come padre e figlio, riconciliandosi con i rispettivi ruoli.
L’opera di adattamento del romanzo di Svevo voluta dalla Comencini continua investendo anche le sorelle Malfenti.
La descrizione che Svevo ci da delle tre (quattro, in verità, ma la quarta è troppo piccola per subire mutamenti) sorelle appare sommaria o comunque filtrata attraverso la solita smaniosa ironia che contraddistingue Zeno. Nel film esse godono di maggiori spazi e di una migliore caratterizzazione: in Augusta lo strabismo è sostituito da un golfino poco elegante (Zeno dirà “com’è vestita male pensavo guardandola”), Alberta, come già precedentemente nelle parole di Giovanni Malfenti, è  più grande della diciassettenne di Svevo, ha ventitre anni, è inquieta ed in costante ricerca di qualcosa. La figura di Ada è quella che più si riferisce alle pagine di Svevo: bellissima e sicura di sé. Nella seconda parte del film la sceneggiatura si sofferma maggiormente sulle tre ragazze, che si scontrano, si allontanano, si vivono. Ancora una volta il riferimento a Cechov risulta essere imprescindibile: come non vedere nella “perfezione” di Ada l’ombra dell’Olga delle “Tre Sorelle”, ed ancora, il monologo che un’Alberta in trance, dopo una furibonda lite con la sorella Ada, pronuncia piangendo riporta fedelmente le parole che Irina, nel Terzo Atto del dramma teatrale, rivolge alle sorelle e agli astanti.
Francesca Comencini elimina quasi completamente la narrazione del corteggiamento di Zeno ad Ada presente, invece, nel romanzo, lascia qualche scena ad indicare la strada allo spettatore, carica i silenzi di significati profondi. Le parole tra Zeno ed Ada sono epigrammi, sono pennellate veloci e vigorose, quasi fossero “ultime parole”. I due consumano un rapporto sessuale che nel romanzo non compare, poi Ada diventa fredda ed inizia il dramma amoroso di Zeno. Egli si ostina nel suo sentimento, nonostante Alberta gli si offra: Zeno, s’intuisce nel film, in verità si concederà anche a lei, con poca convinzione, però, tradendo il suo amore per Ada.
Un intreccio amoroso, quello della Comencini, più aspro e veloce di quello di Svevo, più adatto alla morale dei nostri giorni che a quella dei primi del Novecento.
Solo Augusta, delle tre, rimane fissa nel suo personaggio, tanto nel film quanto nel romanzo, è la donna mite e premurosa che ama Zeno in segreto e che acconsentirà alla nozze, anche dopo avere ascoltato dalla bocca del giovane i tentativi di corteggiamento verso le sue sorelle più grandi.
Il linguaggio del film predilige una narrazione lirica, fatta di silenzi e di sospesi, di controluce e di colori umidi e caldi. La città di Roma è una presenza discreta, quasi anonima, animata per lo più dalle passeggiate notturne di Zeno e delle sorelle Malfenti. La tecnica cinematografica di Francesca Comencini privilegia il primo piano, conferendo un’importanza significativa ai volti dei personaggi, quasi volendo penetrare nei loro occhi e quindi nella loro anima.
Il lirismo non vive mai momenti di stanchezza, senza per questo essere pesante per lo spettatore, il racconto memoriale di Svevo circa la morte del padre ritorna ciclicamente nel film attraverso piccoli flashback, quasi dei cammei all’interno della narrazione. I silenzi conferiscono alle battute degli attori una corporeità quasi scultorea, consegnandole immediatamente alla riflessione dello spettatore. Vi sono degli espedienti utilizzati dalla Comencini che consentono di tenere unita la trama del film: il quadro che Zeno ama e vorrebbe acquistare, ma che decide di lasciare a Giovanni Malfenti quale dono per il compleanno di Augusta, segna i momenti più significativi della sua vita, come egli stesso sembra presentire “Avrei voluto quel quadro per me, ma lo sacrificavo volentieri, forse mi avrebbe portato in un paese molto lontano”. Quel quadro gli apre le porte di casa Malfenti, quel quadro gli giace accanto mentre si sta preparando per il suo matrimonio.
Un altro piccolo espediente cinematografico è riferito alla questione della data del Cinque Maggio: Francesca Comencini introduce tale riferimento cronologico nella battuta iniziale delle “Tre Sorelle”, in cui Ada impersona Olga, riferimento che nel testo originale non compare. Compare invece in Svevo, quando Zeno, allontanato da casa Malfenti, decide di inviare un mazzo di fiori alla signora Malfenti proprio il Cinque Maggio, giorno della morte di Napoleone. Il mese di maggio continua ad entrare nella sceneggiatura del film, quando Zeno, ormai senza speranze, tenta un ultimo approccio con Ada dicendole “Amo te che sei nata nel mese di maggio”.
Numerosi altri adattamenti dal romanzo sono presenti nel film, ne cito solamente un paio: Zeno inizia a zoppicare dopo aver parlato con l’Olivi e non con l’amico Tullio come nel romanzo ed il suo antagonista in amore, Guido, nel film non suona il violino, ma il pianoforte, attenuando così il dramma interiore e il senso d’inferiorità dello Zeno sveviano (ben descritto nel romanzo).
Un’ultima considerazione riguarda la presenza del teatro all’interno del film: Ada è un’attrice che porta in scena proprio le “Tre sorelle” di Cechov interpretando Olga, Zeno è un appassionato di teatro russo, la battuta iniziale del dramma, in maniera quasi originale, viene più volte ripetuta nel corso del fim. La presenza di Cechov non risulta essere affatto discreta all’interno del film, i punti di contatto sono numerosi anche in maniera esplicita. Vediamo Ada sul palco durante le prove, nel suo sforzo di rendere vero il suo personaggio, la vediamo alla prima recitare davanti al pubblico. Si può allora parlare di teatro all’interno di un’opera cinematografica, ma anche di metateatro, laddove lo spettatore vede nascere l’interpretazione di Ada, scopre i gusti del regista che la sta dirigendo, vede il personaggio di Olga partire da zero e giungere sul palco riscuotendo grande successo: teatro sì, ma anche tecniche teatrali quindi.
Francesca Comencini realizza un film che si presta a diversi livelli di contaminazione con le opere letterarie: lo spettatore è chiamato ad un continuo lavoro di contestualizzazione e decontestualizzazione degli scenari letterari sottesi. L’integrazione di tre diverse forme di comunicazione (cinema, teatro, prosa) risulta efficace, raggiungendo un  suo equilibrio narrativo, ben sostenuto dall’intensa colonna sonora composta da Ludovico Einaudi. Il film termina con una frase significativa ripresa dal romanzo di Svevo ma amplificata dalla sensibilità dello Zeno della Comencini: “È un dubbio che mi accompagnerà forse per tutta la vita. Ma oggi penso che l’amore, accompagnato da tanto dubbio, sia il vero amore”, ed è proprio il dubbio l’unico criterio di valutazione ammesso dai protagonisti, che dubitano di loro stessi e dei loro rapporti con gli altri.
Francesco Accattoli
http://sequestocosmo.wordpress.com/2007/12/15/le-parole-di-mio-padre-di-francesca-comencini/

Le quattro figlie di Luigi Comencini si chiamano Cristina, Francesca, Eleonora e Paola. Tutte, in un modo o nell'altro, hanno a che fare col cinema. In questo film la regista è Francesca e Paola è convolta come production design e art direction (così IMDb). Cristina è una regista piuttosto nota ed alcuni suoi film prima o poi verranno qui. Anche Eleonora si occupa di produzione.
Sono quattro anche le sorelle Malfenti del romanzo "La Coscienza di Zeno" di Italo Svevo, a cui si ispira molto liberamente il film: Augusta (Viola Graziosi), Ada (Chiara Mastroianni), Alberta (Claudia Coli) e Anna (Camille Dugay Comencini, che è la figlia della regista). Francesca Comencini non era evidentemente paga di queste due sorellanze, e ne ha inserito una terza: nel film Ada fa l'attrice teatrale e recita una parte ne "Le tre sorelle" di Anton Cechov (non ricordo se Ada facesse la parte di Olga o di Irina o di Mascia, le tre sorelle cecoviane). Così, era quasi inevitabile che il povero Zeno Cosini, qui di cognome Corsini (Fabrizio Rongione) stia un po' in disparte, come succede a Giovanni Malfenti (Mimmo Calopresti) che è difficile che nel romanzo faccia un passo indietro. Sparisce la madre delle quattro sorelle, che nel romanzo procede magnis itineribus per fare in modo che Augusta sposi Zeno, e compare brevemente Guido Speier, quello che sposa Ada, però suona il pianoforte anziché il violino.
Il film fa riferimento a due capitoli del libro di Svevo, quello dei rapporti col padre che gli dà uno schiaffo sul letto di morte, e quello della storia del suo matrimonio, in cui nella stessa sera Zeno si dichiara prima ad Ada, la sorella più bella, poi ad Alberta, la più studiosa, ricevendone due no, infine si dichiara ad Augusta, confessando la sua disperazione per i rifiuti appena ricevuti, ed Augusta gli dice subito di sì, perché Zeno le è piaciuto sin dalla prima volta che l'ha visto. Nel film succede che Zeno goffamente fa cadere per terra degli oggetti ed Augusta, in camicia da notte o quasi vola al soccorso, mentre Anna, la sorellina minore a cui Zeno non può dichiararsi, visto che è ancora una bambina, guarda stupefatta l'accaduto e si forma la pertinace idea che Zeno sia pazzo. Zeno è un po' in disparte per scelta della regista ma anche per il modo interpretativo, giustamente tacciato di mesto da un critico. Per chi conosce ed ama il libro, Zeno non è certo mesto, magari inaffidabile, un po' bugiardo, anche gaffeur, ma qui bisogna capirsi, Zeno che i suoi lapsus avessero una direttrice di marcia lo sapeva prima di andare dallo psicanalista. Non si capisce quindi perché Ada, che nel film è molto sicura di sé, un'aria da pigliona, per breve tempo accetti le avances piuttosto timide di Zeno andandoci pure a letto (chissà come ne sarebbe stato contento Italo Svevo!). Zeno sarà un bel giovane, però taciturno, Ada forse si incuriosisce quando apprende che sa il russo e che ha tradotto in italiano "Le tre sorelle". Mentre ci sarebbero più cose in comune con Alberta, che qui è la sorella che si sente trascurata dal padre e un po' calpestata da Ada, difatti fanno una bellissima litigata proprio la sera della prima in teatro, salvo fare la pace con un abbraccio dopo ore di sfoghi e rinfacci. Della piccola Anna ho già scritto nel post inserito nella vista logica I bambini nel cinema: è quella più fedele al romanzo e che è più a suo agio nella parte.
Dimenticavo Augusta (è facile dimenticarle, le Auguste...): non fa niente per tutto il film in attesa che il girovagare di Zeno approdi inevitabilmente a lei: due sorelle gli dicono di no, la terza sorella è piccola, lui vuole sposare una figlia di Giovanni Malfenti che ammira molto, non rimane che Augusta. A proposito, purtroppo Giovanni Malfenti, un felicissimo personaggio del romanzo, nel film compare troppo poco, anche se è un po' il deus ex machina. Mimmo Calopresti lo fa bene, anche se il Malfenti di Svevo si sarebbe messo a ridere se avesse immaginato che lo si trasformava in un mercante d'arte. Oppure avrebbe fatto finta di indignarsi, perché il Malfenti di Svevo, serissimo quando ci sono in ballo dei soldi (soprattutto i suoi) è uno che vive bene e lascia vivere.
Il film, malgrado la mestizia quasi permenente di Zeno (o dell'attore che lo fa), è di una eleganza fina, truccata da ingenuità. Felici le scelte visive, anche le opere d'arte del mercante Malfenti o il quadro/disegno che Zeno regala alla famiglia per farsi benvolere. Bella l'idea del grande scalone fuori da casa Malfenti, che Zeno sale intimidito come se andasse in un Walhalla che sa di non meritare. Alla fine del film Zeno ne fa un'altra delle sue. Per un anno ha zoppicato somatizzando i il fatto di non vedere più Ada. E' il giorno in cui ha appena sposato Augusta, e i due sposi, ripresi da dietro, risalgono lo scalone. Beh, Zeno o inciampa o perde un oggetto, fatto sta che si piega in due e tocca ad Augusta sorreggerlo.
Qui Francesca Comencini ha dimenticato le tre sorellanze ed ha dato retta allo Zeno di Italo Svevo, che me lo immagino proprio così: un gaffeur, però furbissimo, di un inconscio che si fa conscio, lui se ne accorge e fa finta che sia ancora inconscio, così lo psicanalista se la prende. Chi ama Svevo è bene che veda questo film: non ne uscirà magari entusiasta, ma certamente con una gran voglia di rileggere il libro.
P.S. Ho voluto riguardare i nomi delle tre sorelle cecoviane ed ho preso in mano il libricino della BUR, quella antica con la copertina grigia. Sentite la notiziola che vi ho trovato:
...il 6 marzo 1959 la televisione italiana trasmise una edizione italiana de Le tre sorelle. La regia fu di Claudio Fino. Interpreti: Enrico Maria Salerno, Milly Vitale, Lilla Brignone, Elena Zareschi, Valeria Valeri, Ernesto Calindri, Gianni Santuccio, Giulio Bosetti, Luciano Alberici, Salvo Randone, Davide Montemurri, Ruggero De Daninos...
Vi risparmio i dettagli dell'edizione italiana de Il giardino dei ciliegi che fu trasmessa il 6 aprile 1956. Gli interpreti erano ad analogo livello.
Ormai da decenni come TV siamo ridotti alle elisedirivombrosa o robe consimili. Vorrei essere molto gentile: ci sono centinaia (se non migliaia) di persone, a partire dai livelli politici più alti, che dovrebbero provare un sentimento che gli farebbe bene: la vergogna.
http://abbracciepopcorn.blogspot.com.ar/2008/01/le-parole-di-mio-padre.html

1 comentario:

  1. Ciao!!!
    Queria pedir si pueden compartir "Il piu bel giorno della mia vita" (el dia mas bello de nuestra vida) de Cristina Comencini, del año 2002. Es una gran pelicula.
    Mille Grazie!!!

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