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martes, 15 de enero de 2013

L'Erede - Michael Zampino (2010)


TITULO ORIGINAL L'erede
AÑO 2010
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS No
DURACION 85 min. 
DIRECCION Michael  Zampino 
GUION Ugo Chiti, Michael Zampino 
REPARTO Alessandro Roja, Tresy Taddei, Davide Lorino, Guia Jelo 
FOTOGRAFIA Mauro Marchetti 
MUSICA Riccardo Della Ragione 
MONTAJE Fabio Nunziata 
ESCENOGRAFIA Cinzia Lo Fazio 
VESTUARIO Carlotta Polidori 
GENERO Thriller 

SINOPSIS Alla morte del padre, Bruno, un medico di Milano, eredita una villa in campagna che cambierà per sempre la sua vita. Giunto sul posto, infatti, si troverà coinvolto in una spirale di sospetti messa in atto dai vicini...


Uscirà nella sale a maggio L’erede, il film noir del regista Michel Zampino, alla sua opera prima. L’intreccio si snoda intorno ad un casale a ridosso degli Appennini che Bruno (Alessandro Roja) eredita dal padre. Il ragazzo dovrà fare i conti con un passato che si tinge delle tinte cupe di legami familiari dei quali era all’oscuro.

Cosa ha determinato la scelta dei Monti Sibillini come location del film?
In provincia di Macerata, vicino a Sarnano, avevamo già individuato, con la Film Commission Marche, la villa dove si sarebbe realizzato il film. Mancavano gli esterni, il percorso che doveva fare il protagonista per arrivare a quella villa. Cercavamo un luogo isolato, una natura selvaggia e maestosa, anche per sottolineare lo spaesamento del personaggio proveniente dalla grande città. I Monti Sibillini avevano tutte queste caratteristiche.

Il tuo film affronta molti temi, alcuni dei quali legati all’aspetto materiale della vita, altri ai legami di sangue, addirittura si affaccia l’ombra di un incesto. Esattamente cosa ti sta a cuore dire attraverso la tua pellicola?
Che ci sono aspetti della vita di ognuno che non possono essere sotto controllo. Molte nostre azioni non sono legate alla razionalità ma all’inconscio. Il protagonista aveva un padre con il quale aveva rapporti difficili. Durante il film vediamo che Bruno, l’erede, rifiuta di conoscere il passato di questo padre, la vita nascosta che aveva in quel luogo misterioso. Ma il passato chiama. Bruno deve per forza fare i conti con lui. Le colpe di suo padre ricadono su di lui e non può farci niente. Con l’occasione Bruno scopre anche qualcosa di se stesso. Questo è il tema principale. Poi trovavo divertente catapultare un cittadino educato e moderno in una realtà arcaica e violenta.  

Quali sono i sentimenti che ti hanno spinto a scriverlo?
E’ stato il caso. Tutto è partito da un aneddoto. Ho davvero ereditato una casa in campagna che apparteneva a mia padre, una proprietà di cui non conoscevo l’esistenza. Nella vita reale finisce lì. Nella scrittura invece ho cercato, con il co- sceneggiatore Ugo Chiti, di sviluppare l’aneddoto e farne una storia per un film.
Il tuo film è un noir, un genere tornato molto in voga ultimamente. Ci sono degli autori ai quali ti sei ispirato?
Stephen King, Dorothy Sayers, Ruth Rendell per la letteratura. Anche Douglas Kennedy. Soprattutto il suo primo romanzo che racconta la storia di un giornalista americano che rimane prigioniero di  una banda di dementi nell’outback australiano. Un libro inquietante ed  esilarante allo stesso tempo.  Poi ci sono i film dei miei registi preferiti, soprattutto quelli che non rinunciano all’ironia come Kubrick e i fratelli Coen.

Come è stato il rapporto con gli altri sul set?
Essendo il mio primo film, ho imparato molto da collaboratori talentuosi che mi hanno affiancato sul set  come Mauro Marchetti, il direttore della fotografia, e Cinzia Lo Fazio, la scenografa. Per il resto, il rapporto è sempre stato costruttivo malgrado la tensione, inevitabile credo, per un film che doveva essere girato in meno di trenta giorni con un budget ridotto.

Il film affronta il tema dell’amarezza e della vita che spesso delude, tutti aspetti incarnati dal personaggio di Paola. Vuoi parlarci di lei?
Paola  è soprattutto una persona infelice e ferita. Anche se è una donna inquietante e per certi versi disturbata, volevo che gli spettatori capissero bene la sua posizione. I personaggi “borderline”, idealisti, sono quelli che mi stimolano di più. Paola ha sofferto dell’abbandono di un uomo che ha molto amato. Ha perso il senso della realtà, rifugiandosi nel ricordo di un amore impossibile.  Alcune scene del film rimandano ai vecchi melò. Il tentativo era di accentuare il lirismo per creare un effetto comico.

Stai già pensando al prossimo film? Sarà un noir?
In questo momento mi sto preparando all’uscita in sala de L`erede, prevista per il mese di maggio 2011. Per il mio prossimo film, ho sviluppato vari soggetti e devo ancora verificare il loro potenziale. Spero uno sarà abbastanza convincente per diventare una sceneggiatura in grado di essere prodotta. Poi se si tratta di un noir o di un thriller, ancora meglio.
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Bruno (Alessandro Roja) è un radiologo milanese che, alla morte del padre, riceve in eredità una bella villa, immersa nel verde degli Appennini. Per sfuggire alla vita caotica della città lombarda, decide di prendere immediatamente possesso di questo lascito; nella natura selvaggia che lo circonda, Bruno fa la conoscenza di Paola (Guia Ielo), vedova imprevedibile e madre di Angela (Tresy Taddei Takimiri) e Giovanni (Davide Lorino), che lo porteranno da una parte a scoprire il passato oscuro e misterioso del padre, e dall'altro sull'orlo di un incubo.
Opera prima del regista italo francese Michael Zampino, L'erede colpisce immediatamente per una certa eleganza: le atmosfere cupe e selvagge degli Appennini vengono rese in maniera ottima da un altrettanto eccellente fotografia, capace di ingrigire e rarefare l'ambiente, trasformandolo in una sorta di girone dantesco, una dimensione sospesa dove il figlio espia le colpe del padre. L'elemento più riuscito del film, in effetti, è da ricercarsi proprio nella costruzione di un'ambientazione inquietante, in grado di far sussultare gli spettatori. Sebbene il regista abbia asserito di essersi ispirato a capolavori come Rebecca, la prima moglie di Hitchcock e Shining di Stanley Kubrick per costruire questa "landa desolata" popolata da fantasmi e psicopatici, sembra piuttosto che le ispirazioni giungano da Haneke con il suo Funny Games, dove una famiglia all'apparenza felice, veniva segregata nella propria villa di campagna da una coppia di malintenzionati. Ed è proprio dall'inizio delle torture - con una scena (quella del coniglio) che pare richiamare quella pù famosa di Attrazione Fatale - che il film comincia a calare di livello. Invece di salire, alla ricerca di un climax, la pellicola di Zampino scende sempre di più, non riuscendo a tenere l'atmosfera e la tensione della prima parte. Colpa, anche, di una sceneggiatura - firmata dallo stesso regista e da Ugo Chiti - che presenta dei vuoti incolmabili, specie in fase di caratterizzazione dei personaggi. Nonostante una buona interpretazione, Alessandro Roja - il Dandy della serie Romanzo Criminale - appare sottotono nel portare sul grande schermo un personaggio che risulta anonimo e poco empatico. Intorno a lui, d'altra parte, si muovono caratteri che sono troppo abbozzati per trasformarsi in personaggi, sebbene sia palese l'impegno che tutti ci mettono per riuscirci; forse è proprio questo il punto. Lo spettatore, in sala, non riesce a vedere i personaggi, perchè la maggior parte di loro è nascosta dietro l'attore che lo interpreta. L'unica che riesce ad essere credibile è Guia Jelo che deve dipingere il carattere più complesso dell'intera pellicola.
Ammirevole il coraggio della casa di distribuzione Iris che continua a proporre film che si discostano dalla moda imperante del film di denuncia sociale e/o di teen-movie. L'erede in effetti cerca con tutte le sue forze di riproporre un genere specifico, che in Italia non trova mai molto spazio. Ma, sebbene le intenzioni siano ottime, c'è bisogno ancora di molta strada da fare.
Erika Pomella
http://www.silenzio-in-sala.com/recensione-l-erede.html
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Dopo la proiezione dell'inquietante e riuscito L'erede, esordio alla regia di Michael Zampino, regista e cast hanno parlato alla stampa della genesi del film e delle curiosità legate alla sua realizzazione.

Una piovosa mattinata romana, durante un temporale estivo che ha gettato una cappa di grigio sulla città: non poteva esserci scenario migliore per la presentazione alla stampa di un film come L'erede, thriller psicologico di segreti familiari e inquietudini sepolte nel passato, ambientato in una vecchia dimora sita in un paesaggio sospeso nel tempo, in mezzo alle montagne marchigiane. Un set di grande suggestione per il riuscito esordio alla regia di Michael Zampino, italo-francese con alle spalle diversi premi per i suoi cortometraggi, con protagonisti l'Alessandro Roja di Romanzo criminale - La serie e una inquietante ed efficace Guia Jelo.
Il regista, insieme al cast tecnico e artistico del film, ha così raccontato alla stampa la genesi della pellicola e le traversie legate alla sua realizzazione, oltre alle difficoltà nel girare, nel 2011 in Italia, un piccolo film indipendente appartenente a un genere come il thriller.
"Il film è stato un percorso collettivo, nato da un mio aneddoto personale", ha spiegato il regista. "Infatti raccontavo a una mia amica americana, critica cinematografica, di una dimora abruzzese lasciatami in eredità da mio padre dopo la sua morte. Lei, per deformazione professionale, ha pensato che le stessi raccontando la sceneggiatura di un film: questo qui pro quo mi ha dato lo spunto iniziale per pensare davvero al progetto di un lungometraggio. Ne ho parlato allo sceneggiatore Ugo Chiti e lui ha pensato subito che, tra i vari progetti che avevo in mente, questo fosse quello con maggiori potenzialità. La sceneggiatura è stata scritta nel 2008, ed è stata dura riuscire ad arrivare a girare il film: ma il tempo è l'alleato migliore per il cinema indipendente. Si possono infatti fare tanti aggiustamenti, specie a livello di script: in questo caso, abbiamo puntato sull'essenzialità, limitando il set praticamente a una sola location, e lavorando molto sull'immagine e sulla rumoristica, sul suono. Fortunatamente, dopo aver avuto un budget iniziale limitatissimo, poco dopo l'inizio delle riprese siamo riusciti a ottenere il sostegno del Ministero per i Beni Culturali e della Regione Marche, oltre a varie istituzioni locali. Credo che un film come questo sia la prova che, con passione e impegno, si possano ancora girare film di genere in Italia."
"Tengo moltissimo a questo film", ha raccontato Guia Jelo, che interpreta Paola, l'inquietante custode della dimora. "Dopo tante fiction e ruoli secondari, a quasi 60 anni non ho mai gettato la spugna. Questa occasione è stata come una perla nella mia vita. Fare il provino mi ha dato un'emozione bellissima, è stato come tornare bambina: mi è tornato in mente tutto, la mia vita, le occasioni mancate, la totale assenza di appoggi e nepotismo. Il regista cercava dei talenti, e questa è stata la cosa più bella: fa sentire bene essere considerati persone di talento. Mi piace molto il ruolo di Paola, a dispetto di tutto non è una persona cattiva o una strega; ha vissuto, ha patito la cattiveria, e alla fine questa cattiveria si è impossessata di lei."
"Tra la passione di Guia e quella di Michael, sul set di questo film c'era un'energia enorme", ha detto Alessandro Roja, "una voglia furibonda, direi. Questa voglia ha contagiato tutti i reparti, tutti coloro che lavoravano nel film, fino agli elettricisti: tutti si sentivano coinvolti e non hanno avuto problemi a fare gli straordinari pur di portare a termine questo progetto. E' una cosa rara, il coinvolgimento di tutti, ma dovrebbe essere l'ingrediente principale quando si realizza un lavoro collettivo."
Anche Maria Sole Mansutti, fidanzata di Roja nel film, ha avuto parole di elogio per il regista e il suo metodo di lavoro: "E' stato interessante soprattutto fare il provino, non capita spesso che i registi siano così curiosi verso gli attori. La storia poi era una scommessa, non parlava dei soliti temi del cinema italiano come le famiglie in crisi e le infedeltà coniugali. Anche il testo è molto curato, i dialoghi hanno sempre un senso, è un film scritto molto bene."
"Io sono marchigiana d'adozione, e quindi ho avuto la fortuna di lavorare vicino a casa mia", ha detto Tresy Taddei, che nel film interpreta Angela, figlia di Paola e succube della violenza della madre e del fratello. "Adoro i thriller e i noir, quindi mi sono subito catapultata nel film. Dico la verità, lo ritengo un capolavoro: con pochissimi mezzi e aiuti siamo riusciti a realizzare un'opera completa, che si regge solo sull'impegno e i sacrifici di coloro che ci hanno lavorato."
"Il provino l'ho fatto addirittura a fine 2008, e da allora è passato molto tempo, ma non vedevo l'ora di fare il film", ha rivelato Davide Lorino, interprete di Giovanni, l'instabile e violento fratello di Paola. "Il personaggio mi ha intrigato subito, nonostante la sua violenza mi ispirava anche molta tenerezza; lo vedevo come una specie di gigante buono. Mi sono divertito molto a lavorare con tutti gli altri membri del cast, c'era una bella atmosfera, si scherzava e rideva molto."
Due battute sono state pronunciate anche da Riccardo Della Ragione, responsabile del riuscito commento sonoro della pellicola: "Sono molto soddisfatto del lavoro, anche se sono arrivato solo nella post-produzione. Michael ha avuto la grande capacità di trasmettermi le sensazioni che voleva esprimere con la musica; c'è stato inoltre un notevole lavoro sulla qualità dei suoni, e specie sulla fase frequenziale, sul timbro."
Quando gli chiedono se per il film ha avuto dei modelli cinematografici particolari, il regista mostra il suo eclettismo, ma anche la sua natura di cinefilo onnivoro: "Le influenze, volontarie o meno, sono state tante: mi viene in mente il Sam Peckinpah di Cane di paglia, ad esempio, ma anche un classico come Shining di Stanley Kubrick o l'umorismo nero dei film dei fratelli Coen. Tutti questi autori sono stati 'alleati' per raccontare la storia. Ma il riferimento principale, ovviamente, è quello rappresentato da Alfred Hitchcock, specie per il rapporto che riesce a instaurare, attraverso le immagini, con lo spettatore".
Marco Minniti
http://www.movieplayer.it/film/articoli/michael-zampino-presenta-l-erede_8304/


Ci sono molti motivi per gioire dell’edizione in dvd de L’erede di Michael Zampino, tra le sorprese indipendente più gradite della scorsa stagione cinematografica. Innanzitutto si tratta del meritato premio per un film produttivamente “piccolo” che avuto il coraggio di confrontarsi con il genere (nello specifico il thriller di ambientazione rurale, che tanto spazio ha avuto nell’evoluzione della cinematografia italiana nel corso degli anni Settanta del secolo scorso) senza dimenticare una forte impronta autoriale; Michael Zampino flirta a più riprese con l’orrore – sociale e antropologico, ma anche fortemente viscerale e umorale – rimanendo sempre in equilibrio tra il terrificante e il patetico, mettendo in mostra una cifra stilistica non comune in registi di così imberbe esperienza. Si tratta infatti di un’opera prima, dettaglio che riconduce alla breve analisi sull’importanza della distribuzione in dvd de L’erede: abituare il pubblico dell’home video a scegliere anche su vere e proprie scommesse produttive e distributive non può che far bene a un universo cinefilo che sembra destinato a incancrenirsi sempre di più, fino a raggiungere un grado di visione completamente sclerotizzato. A fronte di un rapporto di inequivocabile sfiducia che lega il cinema italiano allo spettatore medio, eccezion fatta per la pappa pronta – e in gran parte predigerita – delle commedie più o meno di grana grossa, un film come L’erede serve a dimostrare che, per quanto possa essere impervia la strada intrapresa, l’idea può ancora permettersi il lusso di vincere sui perigliosi ostacoli incontrati sul percorso. Perché, nonostante qualche inevitabile difetto (evidente soprattutto a livello di struttura narrativa), L’erede appare un progetto a suo modo quasi miracoloso, paradigma esemplificativo di un cinema non lobotomizzato che possiede tutte le carte in regola per appassionare il pubblico, tenendolo ripetutamente sulle spine.
Elementi che già avevano fatto breccia all’epoca dell’uscita in sala, nel giugno del 2011, e che tornano a rivendicare la propria evidenza anche nel dvd curato dalla CGHV, tra le realtà più attente alla proposta nostrana, sia nella valorizzazione dell’indipendenza contemporanea sia nel doveroso ripescaggio di alcune delle perle dell’epoca d’oro sotterrate negli angoli più remoti della memoria cinefila. A sorprendente in positivo, per quel che concerne l’edizione curata per l’esordio al lungometraggio di Zampino, è la florida proposta rintracciabile nei contenuti speciali. Se capita spesso e volentieri di dover bacchettare idealmente le case di distribuzione, rei di puntare con troppa facilità sulla spartana scelta di contenere i costi esibendo all’interno del supporto digitale solo ed esclusivamente il film, in questo caso è doveroso rimarcare come il bottino degli extra rappresenti un ulteriore incentivo all’acquisto del dvd. Dopo aver visionato il film, infatti, lo spettatore avrà modo di ripercorrerne passo dopo passo l’intero iter produttivo, partendo dai bozzetti dei costumi e da un esauriente storyboard (tecnica che, dopo anni di inspiegabile oblio, sta prendendo nuovamente piede tra i registi dell’ultima generazione: un dato che non può che essere accolto con soddisfazione), proseguendo con il making of, immancabile dietro le quinte he permette di “spiare” la fase delle riprese, per poi giungere alla post-produzione, con un ottimo backstage musicale che non solo dà lo spunto per studiare e apprezzare l’apporto artistico del compositore Riccardo Della Ragione, ma apre il fianco finalmente anche a una riflessione sugli aspetti tecnici meno considerati di solito dal grande pubblico. Dopo essere entrati nel dettaglio del “fare” cinema, i contenuti speciali si spostano su un territorio più esplorato, come quello delle scene tagliate – e, per chi avesse avuto modo di assistere all’incontro con Zampino dopo la proiezione stampa del film, qui sarà possibile scoprire l’evocata sequenza con protagonista un lupo –, del trailer cinematografico e della photogallery. Il modo migliore per dare la possibilità a chi sceglierà di comprare il dvd di penetrare fino in fondo all’universo cinematografico di Zampino, e di apprezzare ancora di più un film semplice e terrificante, abitato da un gruppo di attori in parte e da un’atmosfera impalpabile e soffocante allo stesso tempo. Un esordio da (ri)scoprire.
Raffaele Meale
http://www.cineclandestino.it/it/home-video/dvd/2012/dvd-lerede.html
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Critica
"L'horror dà spazio al thriller psicologico e il deb italo-francese Zampino - che ha scritto la sceneggiatura con Ugo Chiti, forse dormiente - si sente debitore dei grandi, da Stanley a Lynch, da Hitchcock a Polanski, pasticciando qua e là su una storia intrigante seppur non inedita. Meglio sbagliare da soli, diceva il saggio. Ma l'opera prima va sempre perdonata." (Anna Maria Pasetti, 'Il Fatto Quotidiano', 7 luglio 2011)

"Una strada al confine tra Marche e Abruzzo penetra in una boscaglia tra i monti ed ecco apparire la villa. (...) Anche se non ha niente di televisivo, ricordiamo l'atmosfera degli sceneggiati degli anni settanta, dove l'alta professionalità dei componenti della troupe serviva a comporre paurosi romanzi ottocenteschi o gialli, inediti intrecci per il cinema italiano. Anche lo stile delI''Erede' è diverso dal solito, thriller psicologico, dramma che potrebbe sfociare nel giallo, neanche il sospetto della commedia leggera e insulsa così amata oggi dai produttori. Il regista Michael Zampino, italo francese, ha studiato a New York ed ha veramente ereditato un casale in Abruzzo, le sfumature grottesche di Ugo Chiti e del regista alla sceneggiatura, Fabio Nunziata al montaggio e le sonorità composte da Benni Atria (sound designer), Alessandro Roja nel suo avvicinarsi ingenuo al castello di Dracula e Guja Jelo più feroce di una strega, Davide Lorino l'amato figlio dell'orchessa, Tresy Taddei Kasimiri (figlia dell'acrobata ciclista del circo Kasimiri) nella parte della strega da giovane, accompagnati dalle musiche di Riccardo Della Ragione, accostate a quelle adatte agli spericolati cambi di abitazione, come l'ironico 'Te quedaras' di Alberto Barreto Arredondo. Film indipendente, distribuisce Iris, realizzato con il sostegno di regione Marche, province di Fermo e Macerata, comunità montane dei monti Azzurri e Sibillini. Un bel viaggio nel mistero." (Silvana Silvestri, 'Il Manifesto', 8 luglio 2011)

"Quello di Michael Zampino è un esordio interessante. Di felice nella sceneggiatura scritta dal regista con Ugo Chiti c'è l'idea di un'ambientazione selvatica, rusticana che provvede a conferire credibilità ai caratteri del clan nelle cui grinfie il medico finisce intrappolato: dalla vindice madre che Guia Jelo incarna con ferocia passionaria al figlio violento e plagiabile, alla figlia succube di entrambi. Restano però nebbiose le problematiche del protagonista (Alessandro Roja, il Dandi di 'Romanzo criminale' in Tv), legate all'irrisolto rapporto con il genitore e necessarie a motivare il suo comportamento (perché non fugge subito a gambe levate?). Una carenza che relega la pellicola nell'ambito del cinema di genere: così è un horror efficace, ma poteva essere qualcosa di più." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 8 luglio 2011)

"Un'opera prima italiana. La firma come regista Michael Zampino, noto finora soprattutto ai festival per dei cortometraggi più d'una volta premiati. Al suo fianco, come sceneggiatore, ha Ugo Chiti che da tempo ha legato il suo nome ad alcuni tra i film più significativi del nostro cinema, da 'Gomorra' ai tre 'Manuale d'amore'. L'incontro poteva rivelarsi più costruttivo e, date le premesse, con risultati più saldi, anche con certi limiti, tuttavia, merita che lo si consideri con un po' di interesse. (...) Ha un certo valore il clima prima misterioso poi angosciato che si libra su tutta la vicenda e il passato di documentarista di Zampino riesce a suscitarvi attorno una cornice naturale, tra collina e montagna, che sa privilegiare le ansie e i toni sospesi. C'è però, in vari momenti, il rischio del gratuito se non addirittura dell'inespresso. Superato solo in parte da interpreti come Alessandro Roja, un protagonista che non smentisce i suoi successi televisivi ('Romanzo criminale', 'Don Matteo') e, di fronte a lui, l'esperta Guia Jelo, un'avversaria temibile ed ambigua." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo cronaca di Roma', 8 luglio 2011)

"Un film che non riesce a essere credibile nel ricostruire atmosfere sospese, anche se c'è tanta buona volontà." (Dario Zonta, 'L'Unità', 8 luglio 2011)

"Bislacco thriller italiano, ambientato sull'Appennino marchigiano. (...) La prima mezz'ora tiene, poi il film svacca, tra vistose zone d'ombra e raccapriccianti incursioni nell'horror. Meglio una gita al mare." (Massimo Bertarelli, 'Il Giornale', 8 luglio 2011)
http://www.cinematografo.it/pls/cinematografo/consultazione.redirect?sch=54348
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Un conto impossibile da pagare

L'esordio di Michael Zampino, già apprezzato regista di cortometraggi, muove da una struttura narrativa estremamente semplice per dipanarsi in una sorta di horror in cui manca l'elemento sovrannaturale, e in cui la follia ha motivazioni terrene ma non è per questo meno spaventosa.

Bruno, giovane medico milanese, ha ereditato dal defunto padre una proprietà di cui ignorava l'esistenza: una grande villa di inizio '900, immersa nella natura selvaggia degli Appennini, apparentemente disabitata da decenni. Il giovane, nonostante le insistenze della compagna Francesca che vorrebbe si liberasse subito della proprietà, decide di ristrutturare la tenuta prima di venderla; per far questo, si reca sul posto, e viene presto avvolto dalla particolare atmosfera del luogo, iniziando inoltre a scoprire particolari ignoti della vita di suo padre. Questi ruotano soprattutto intorno alla figura di Paola, enigmatica e instabile custode della villa che vive nella residenza adiacente, e ai suoi due figli, il rozzo e taciturno Giovanni e la conturbante Angela; questa famiglia, che Bruno scopre presto legata a doppio filo alla sua, trascinerà il giovane medico in un vortice di inquietudine prima, e di vera e propria violenza poi, con la richiesta di pagare un conto di cui Bruno non sospettava nemmeno l'esistenza.
E' sempre un piacere, e un tentativo da incoraggiare, quando qualcuno in Italia tenta di proporre pellicole appartenenti a generi da decenni in disuso come il thriller, vista l'ormai endemica asfissia di questo tipo di proposte nel nostro paese; meglio ancora se a tentare la sorte, come in questo caso, è un regista esordiente come l'italo-francese Michael Zampino, e se i risultati sono complessivamente convincenti come quelli di questo L'erede. L'esordio di Zampino, già apprezzato regista di cortometraggi, muove da una struttura narrativa estremamente semplice, che rifugge dalle regole non scritte del genere (che vorrebbero uno svelamento graduale dei retroscena della vicenda) e lascia alla prima mezz'ora il compito di chiarificare allo spettatore il background e le motivazioni dei personaggi, compresi quelli negativi. La sceneggiatura, scritta dal regista insieme allo specialista Ugo Chiti, fa uso di un unico flashback a inizio film, muovendosi poi in modo lineare nel presente, e concentrando la tensione sulla vera e propria morsa che la famiglia contadina stringe intorno all'inerme protagonista. Una premessa semplice, quindi (e ben chiarificata dallo slogan di lancio del film) che diventa motivo per il dipanarsi di una sorta di horror in cui manca l'elemento sovrannaturale, e in cui la follia ha motivazioni terrene ma non è per questo meno spaventosa.
La regia di Zampino si nutre di suggestioni da horror rurale che rimandano a classici del nostro cinema come La casa dalle finestre che ridono di Pupi Avati, ma soprattutto fa del paesaggio, arioso e opprimente al tempo stesso, un ulteriore personaggio della vicenda; a questo fanno da contrappunto gli elaborati interni della vecchia magione, cadenti e claustrofobici, teatro di inquietudini passate che non vediamo ma riusciamo a intuire, dimora di fantasmi che si agitano appena sotto la superficie della realtà. In tutto questo, il regista dimostra una buona sapienza nella gestione degli spazi scenici e della suspence, riesce a caricare di inquietudine anche l'apparizione di un coniglio, e a trasfigurare in quello di una vera e propria strega il volto di una bravissima Guia Jelo, vera e propria mattatrice della pellicola. L'ottima, cupa fotografia, unita a un azzeccato commento sonoro (di grande impatto quello diegetico che troviamo nel finale, quando i protagonisti ascoltano una classica composizione cubana) mostrano la notevole cura estetica del film, che non fa pesare il basso budget, appena rimpolpato dai (per una volta meritati) finanziamenti ministeriali e di varie istituzioni locali.
Si può in questo senso perdonare allo script un qualche schematismo di troppo nella definizione dei personaggi, figlio diretto della scelta di concentrare tutta la tensione narrativa sul presente, e qualche dialogo non sempre all'altezza (viene in mente il personaggio, a tratti troppo sopra le righe, del rozzo Giovanni interpretato da Davide Lorino). Lo stesso Alessandro Roja, proveniente direttamente dal fenomeno televisivo Romanzo Criminale - La serie, si destreggia più che bene in un ruolo che prevede un'evoluzione e una trasformazione nell'attitudine, che il giovane attore rende efficacemente sullo schermo.
La chiusa de L'erede, secco e diretto anche nella durata (solo 85 minuti) non offre alcuna consolazione, quasi a sottolineare che quel conto, da cui tutta la vicenda trae la sua origine, non potrà mai essere saldato. L'unica soluzione è, evidentemente, convivere con la consapevolezza della sua esistenza. Tenendo presente, sempre, che anche questa scelta ha un prezzo.
Marco Minniti
http://www.movieplayer.it/film/articoli/un-conto-impossibile-da-pagare_8308/

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