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jueves, 28 de febrero de 2013

L'inchiesta - Damiano Damiani (1986)


TÍTULO ORIGINAL L'inchiesta
AÑO 1986
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS No
DURACIÓN 107 min. 
DIRECTOR Damiano Damiani
GUIÓN Vittorio Bonicelli, Suso Cecchi d'Amico, Damiano Damiani, Ennio Flaiano
MÚSICA Riz Ortolani
FOTOGRAFÍA Franco Di Giacomo
REPARTO Keith Carradine, Harvey Keitel, Phyllis Logan, Angelo Infanti, Lina Sastri, John Forgeham
PRODUCTORA Coproducción Italia-Túnez; Clesi Cinematografica / Italian International Film / SACIS
PREMIOS 1986: Premios David di Donatello: Mejor actriz secundaria (Lina Sastri). 2 nominaciones
GÉNERO Drama. Intriga 

SINOPSIS Cuando llegan a oídos del emperador Tiberio rumores sobre la resurrección de Jesús de Nazareth, envía a la provincia romana de Judea al general Tauro, cuya misión será investigar qué fue del cuerpo del Nazareno. (FILMAFFINITY)



Trama
Tito Valerio Tauro, ambizioso funzionario dell'imperatore Tiberio, giovane "capace di costruire un processo anche su un piccolo sbaglio", si presenta al procuratore romano Ponzio Pilato con un rescritto imperiale che lo autorizza a svolgere un'inchiesta sulla sparizione del corpo di Gesù. Pilato sospetta che Tauro sia a Gerusalemme per ragioni politiche e teme per il proprio potere. Ma durante la festa per il compleanno dell'imperatore, Tauro dichiara pubblicamente di essere inviato a cercare il corpo di Gesù di Nazareth. La moglie di Ponzio Pilato, Claudia Procula, trasale e subito cerca un incontro privato con Tauro, il quale si illude baldanzosamente che la donna desideri essergli amante. Claudia lo conduce invece al sepolcro vuoto di Gesù, che ha conosciuto durante il processo davanti a Pilato: gli confida d'esser rimasta affascinata dalla personalità di quello straordinario ebreo e gli parla di certe dicerie sulla sua risurrezione, di cui sarebbe stata testimone una donna di Magdala ora scomparsa. Tauro inizia la sua inchiesta, interrogando varie persone: gli viene indicata anche la madre di Gesù, un'umile popolana. Frattanto Pilato inscena un finto ritrovamento del corpo di Gesù, per liberarsi dall'inquisitore: ma la finzione viene smascherata da Tauro, che provoca indirettamente un tafferuglio tra la folla, con morti, feriti e incendi suscitando il fiero risentimento di Pilato. Per raggiungere il proprio scopo, Tauro non rifugge neppure da azioni clamorose e spregiudicate: arresti, esecuzioni, prove raccapriccianti per sperimentare gli effetti della crocifissione. Sempre inutilmente. Finisce col ritenere Gesù vivo, e decide di rintracciare Maria di Magdala, per sapere da lei dove si sia nascosto. La ritrova in uno scosceso rifugio sulle alture deserte, lontano da Gerusalemme, a curare dei lebbrosi. Alle domande dell'inquisitore la donna risponde con semplicità di avere sempre con sé Gesù, perché lo serve nei sofferenti. Quando i lebbrosi lo circondano imploranti, ritenendolo il risorto Gesù, Tauro fugge, vagando a lungo, sperduto più ancora nel mistero, che nel deserto che lo circonda, finché incontra, esausto, la guarnigione romana di Pilato, che lo rifiuta e ne decreta la morte.

Critica
"Nella filmografia di Damiani, 'L'inchiesta' costituisce un episodio abbastanza anomalo. Regista molto legato al presente, con predilezione per le vicende di corposa e sanguigna drammaticità, si è invece cimentato in questa occasione con una storia ambientata negli anni immediatamente successivi alla morte di Cristo (...).Sul piano dei contenuti, il merito maggiore de L' inchiesta è quello di mantenersi pressoché sempre coerente all'impostazione di un dramma intellettuale, con poche e tutto sommato irrilevanti concessioni nei terreni altri di suggestioni più facili, di emotività più epidermiche."
(Mario Milesi, 'Bergamo Oggi', 17 aprile 1987)

"Non so se uno spunto geniale come quello dell''Inchiesta' sia caduto nelle mani migliori, dopo i precedenti tentativi falliti da Magni, Montaldo, Festa Campanile. Così com'è, il film passa da momenti efficaci, intensi, che quasi sempre coincidono con la presenza di Carradine, ad altri di più labile impatto. (...) Giudicato come thriller, 'L'inchiesta' non sfigura, con quel suo ingegnoso colpo di scena finale: gli giova meno, mi pare, una vaga struttura da kolossal, da peplum fuori tempo."
(Gabriele Porro,'Il Giorno', 14 febbraio 1987)

"Il film è infatti quanto di più modesto e, nonostante i riferimenti all'attualità, anacronistico si possa immaginare, uno sceneggiato televisivo in stile anni Cinquanta che per la sua piattezza e ovvietà ci lascia quasi del tutto indifferenti. (...) Un rispettabile regista come Damiano Damiani non avrebbe dovuto cadere in questo trabocchetto. Buon per lui che 'L'inchiesta' non sia stato accolto in concorso all'ultima Mostra di Venezia: sarebbe stato frustato a sangue dalla critica internazionale, con grave pregiudizio del successo che il film potrà avere sui mercati internazionali facili a contentarsi. Vi recitano Keith Carradine (Tauro), Harvey Keitel (Pilato), Phyllis Logan (Claudia), Lina Sastri (Maria Maddalena). E fra le pieghe c'è un grande amore inappagato."
(Giovanni Grazzini, 'Il Corriere della Sera', 14 febbraio1987)

Note
- RIPRESE EFFETTUATE IN TUNISIA CON LA COLLABORAZIONE DELLA CARTHAGO FILM.- DAVID DI DONATELLO 1987 COME MIGLIORE ATTRICE NON PROTAGONISTA A LINA SASTRI.- PREMIO ALITALIA A SILVIO CLEMENTELLI E DAMIANO DAMIANI.- LA REALIZZAZIONE DELLE VITTIME E' DI SERGIO STIVALETTI.
http://www.comingsoon.it/Film/Scheda/Trama/?key=5626&film=L-inchiesta
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Soggetto
Tito Valerio Tauro viene inviato dall’imperatore Tiberio Claudio Nerone per ritrovare il corpo di Gesù di Nazareth, fatto giustiziare da Ponzio Pilato anni prima e scomparso dal sepolcro. L’avvenimento, che i discepoli del Nazareno chiamano “resurrezione”, sta creando dei problemi a Roma. Pilato tuttavia non riesce a credere che uno dei tanti fanatici religiosi che agitano la Giudea possa costituire il motivo di un’inchiesta imperiale e cerca di ostacolare il lavoro di Tauro, il quale trova invece appoggio e simpatia nella moglie del prefetto, Claudia Procula. I suoi sforzi, caratterizzati da scetticismo pragmatico, non approdano a nulla. Il cadavere non salta fuori e anche la tesi di una morte apparente non regge alla realtà dei fatti: i discepoli più vicini a Gesù non lo hanno più visto dopo le apparizioni e, pur avendo la certezza del suo ritorno, non sanno quando ciò avverrà. All’inviato imperiale non resta che ammettere il fallimento della missione e constatare che è in atto qualcosa che supera la ragione umana e mette in crisi la logica e la legge romana: per questo motivo viene fatto uccidere da Pilato.

Sintesi Critica
“La legge romana non prevede la resurrezione”. È, questo, il punto di partenza oggettivo dell’inchiesta di Tito Valerio Tauro, che lo condurrà a scoprire la relatività di quella stessa legge e a comprendere come la predicazione del Nazareno, basata sull’amore, abbia innescato qualcosa di pericolosamente sovversivo per un Impero fin troppo espanso. “Se c’è qualcuno che chiede di essere liberato non dagli eserciti, ma da un uomo crocefisso, allora il mondo sta già cambiando”, constata l’inquisitore al termine della missione.
Film singolare, di caratteri, affidato a una recitazione sobria e convincente, L’inchiesta sembra costruito sulla domanda di Pilato “cos’è la verità?” e sulla preclusione politica che tale domanda possa avere una risposta: come al tempo del processo, anche ora infatti il rappresentante di Roma si lava le mani, e fa sopprimere chi, al contrario, cerca la verità e diventa portatore di ragioni estranee al potere.

Scheda Didattica
Utilizzazione:
il film si presta in modo particolare per il curricolo disciplinare della Scuola Media e del biennio Superiori.

Perché questo film?
L’inchiesta non è un film sulle ragioni della fede e sulla questione del Cristo storico, ma piuttosto sulle origini di un fenomeno religioso e culturale dirompente, che avrebbe contribuito alla disgregazione dell’Impero romano e alla nascita di una nuova civiltà, quella cristiana. Nello stesso tempo è un film sui preliminari della fede, sull’atteggiamento che rende possibile l’incontro con il mistero e successivamente con la verità. Valerio Tauro compie un percorso che lo porta dalla certezza al dubbio, dalla ricerca di prove a suffragio di una tesi pregiudiziale, al tentativo di comprendere cos’è realmente accaduto a Gerusalemme e, forse, sta ancora accadendo. Dallo scetticismo che esclude a priori tutto ciò che non si conosce, al porsi domande di cui non si conosce la risposta.
Una situazione culturale e un percorso di apertura al mistero, quelli descritti nel film, che trovano significativi punti di contatto nella civiltà contemporanea, erede, da un lato, del positivismo illuminista e caratterizzata, per altri versi, da un ritorno del paganesimo.

Nuclei tematici disciplinari:
1. la questione della storicità di Cristo: fonti storiche e fonti cristiane
2. il fenomeno dei Messia e la questione nazionale giudaica
3. storia del cristianesimo: da setta perseguitata a religione dell’Imper
4. dalla certezza al dubbio: un percorso di ricerca della verità

Nuclei tematici interdisciplinari:
1. la Palestina dalla colonizzazione greca alla distruzione di Gerusalemme
2. le cause culturali nella caduta dell’Impero romano
Attività Didattica
Il Cristianesimo è la matrice culturale dell’Europa e di tutto l’Occidente. In duemila anni il mistero di Gesù è stato indagato in tutti i suoi aspetti. È interessante notare come negli ultimi tre secoli, alcuni pensatori, organizzazioni e Stati abbiano cercato di demolire la storicità e la resurrezione di Gesù formulando bizzarre soluzioni.

Questionario
1. Che cosa cerca esattamente Tito Valerio Tauro?
2. Perché Tito Valerio Tauro non si accontenta delle false verità che Pilato gli propone?
3. Perché Claudia porta Valerio Tauro al sepolcro di Gesù?
4. Come giustifichi il comportamento di Pilato?
5. Che ruolo gioca Claudia Procula in tutta la vicenda?
6. La tesi della morte apparente di Gesù non viene smentita dalla ferita al costato causatagli dalla lancia?
7. Come mai Gesù è stato crocifisso e non ucciso in altro modo?
8. Il cristianesimo rappresentava effettivamente un pericolo per Roma?
9. Il cristianesimo rappresenta un pericolo per tutti i poteri forti terreni?
http://idr.seieditrice.com/multimedia/percorsi-nel-cinema/linchiesta/


Quando un amico mi ha consigliato di vedermi questo film, mi aspettavo fosse un film molto statico, di tipo teatrale dato il soggetto ed ero restio dopo la delusione di Mel gibson con la sua PASSIONE.
Sorprendentemente e piacevolmente invece ha il respiro di un ottimo film storico d’azione e religioso insieme.
Tratto da un libro, “L’uomo di Nazareth”, nato da un trattamento di Ennio Flaiano (attinta da Anatole France), sceneggiato prima da Suso Cecchi D'Amico, poi da Vittorio Bonicelli e infine riscritto dal regista ha la brillante intuizione di partire dal freddo scetticismo di un non credente, Tito Valerio Tauro funzionario dell'impero romano (interpretato dall’ottimo Keith Carradine), che da moderno 007 cerca di scoprire la verità su Gesù con obietttività e alla luce dei fatti.
Questo percorso, effettuato da un non credente assume maggior interesse e rileggiamo il Vangelo da un’altra prospettiva, di chi vuole capire e non credere passivamente.
Il film si svolge come un’autentica inchiesta con indagini, interrogatori, autopsie, attentati e tentativi di insabbiamenti…
Un cammino verso la verità o perlomeno verso una conclusione: che sua inchiesta è fallita ( come scrive nel suo rapporto all’illuminato imperatore Tiberio), di non essere riuscito a scoprire se Gesù sia morto o risorto ma che esiste anche un mondo non fondato sulla paura (come quello dell’Impero Romano) ma sull’amore.
Anche se molti recensioni lo definiscono freddo, io invece vi ho trovato momenti molto intensi e commoventi in alcune scene.
Ho notato come i Romani, pur essendo i dominatori della Galilea, non interferivano affatto nelle loro questioni religiose permettendo anche le crudeltà delle lapidazioni: si rendevano conto, rispetto a molti nostri contemporanei, della differenza della loro irriducibile cultura…potevano dominare se rispettavano! Erano grandi!
Questa considerazione rientra a proposito delle nostre discussioni sull’Islam.
Un ottimo film che, da quanto ho capito leggendo una trama completamente sballata in Libero.it, non riporta fedelmente il libro e vanta un remake nel 2007 che mi piacerebbe vedere integralmente, con l’ex calciatore Daniele Liotti (che da credente convinto ha confessato di aver fatto il percorso inverso finendo nell’avere dubbi) e, addirittura, Dolph Lundgren nei panni di Brixos.
Ottima, anche se insolita per molti in quanto impegnato in denunce sociali nel presente, la scelta del regista Damiano Damiani. Ricordo, invece che si è ben cimentato in films storici come l’ottimo DELITTO MATTEOTTI e tanti altri.
Concludo con una curiosità. Mia figlia stava vedendosi LA CASA SUL LAGO DEL TEMPO, ma stava appisolandosi e appena ho finito questo (l’aveva riconosciuto da qualche scena) me l’ha sottratto e poi mi ha detto: “Questi sono films”..e poi dicono delle ragazzine…
Darkman
http://www.sospcforum.com/forum/viewtopic.php?f=27&t=5176
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INTELIGENTE, SAGAZ Y ATREVIDA
Casi por casualidad tuve la oportunidad de ver esta película, la cual, bajo su apariencia de un producto más bíblico de corte italiano, enmascara una atractiva propuesta que hace que su duración se pase en muy poco tiempo al expectante público. Una serie B, es posible, pero hecha con oficio y con magníficas actuaciones, mención especial para Keith Carradine, muy creíble como el inteligente espía de Tiberio, enviado a descubrir qué demonios se está cociendo en la siempre tumultuosa Judea.
El primer punto fuerte de esta historia que comenzó hace 2000 años es los grises que imperan a todos los personajes. Por un lado, Tauro, sagaz, inteligente y leal, es una persona de su tiempo, un romano que no se escandaliza ante las cruces donde empalan rebeldes y sospechosos y que piensa que la lógica de las espadas romanas es la luz del Mare Nostrum.
De la misma manera, la trama no cae en la autocomplacencia religiosa, podemos estar ante una de esas extrañas criaturas que podrían complacer por igual a creyentes y no creyentes. El valiente desfile de hipótesis y la fe en que el espectador juzgue, hace muy ameno su desarrollo, sin caer en tópicos. Incluso con el siempre lanceado Poncio Pilatos, tenemos una visión más humana, con un Harvey Keitel sereno y sobrio, haciendo a un gobernador extraño, con sus altibajos y, a su manera, con sus motivos y con problemas internos dentro de su propia familia.
Su vestuario de péplum se nota, también los pocos decorados que tiene, pero la narración es buena e incluso se permite sus dosis de humor para rebajar la carga. Si se perdonan los defectos de la técnica y gustan los argumentos ingeniosos, más de uno puede terminar cayendo, al igual que Tauro, irremediablemente abocado a buscar desentrañar la historia...
Eso y la última carta a Tiberio en el desierto, ya justifican la entrada.
El Libanés
http://www.filmaffinity.com/es/reviews/1/178668.html

miércoles, 27 de febrero de 2013

Solo un padre - Luca Lucini (2008)


TÍTULO ORIGINAL Solo un padre
AÑO 2008 
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS No
DURACIÓN 94 min. 
DIRECTOR Luca Lucini
GUIÓN Giulia Calenda, Maddalena Ravagli (Novela: Nick Earls)
MÚSICA Fabrizio Campanelli
FOTOGRAFÍA Manfredo Archinto
MONTAJE F. Rossetti
REPARTO Luca Argentero, Diane Fleri, Claudia Pandolfi, Anna Foglietta, Fabio Troiano, Sara D'Amario, Alessandro Sampaoli, Elisabetta De Palo, Fabiana Gatto, Michela Gatto
PRODUCTORA Cattleya / Warner Bros. Pictures
PREMIOS 2008: Premios David di Donatello: 2 nominaciones
GÉNERO Drama. Comedia 

SINOPSIS Carlo (Luca Argentero) tiene treinta años, un buen coche, un trabajo que le gusta y una hija de diez meses, Sofia, a la que adora. El vacío dejado por la pérdida de su mujer en el parto de Sofia, es llenado por el cariño y la atención de sus amigos y sus padres, que le echan una mano con la niña y están siempre con él... tal vez demasiado. Pero la llegada de Camille (Diane Fleri) a su organizada y rutinaria vida lo cambiará todo. (FILMAFFINITY)



Trama:
La vita di Carlo, dermatologo trentenne, ragazzo padre di una di una bambina di dieci mesi, scorre piuttosto serena e tranquilla grazie soprattutto all’aiuto e all’affetto di genitori e amici. Un giorno, però, l’ordinata esistenza di Carlo viene messa a soqquadro dall’incontro con Camille.

Brevissima analisi di eventi, esistenti e linguaggio audiovisivo
Amore e morte a Torino -  cura di Roberto Bernabo’

Introduzione
Ok d’accordo non possiamo snobbare questo film solo perché il regista è lo stesso di “Tre metri sopra il cielo“, una delle pellicole milestone del nuovo filone giovanilistico, che tanto denaro frutta ai produttori di cinema italiano.
Ok d’accordo l’idea del film è buona, è contemporanea, rimette al centro il tema della paternità e non della maternità, un tema poco frequentato dal cinema, anche se “La ricerca della Felicità” di Gabriele Muccino“  ed  “Anche libero va bene” di Kim Rossi Stuart, sono stati dei veri e propri apripista di genere.
Peraltro segnalo che il film è basato sul romanzo “Le avventure semiserie di un ragazzo padre di Nick Earls” e, scherzi a parte, mi sembra che, anche in questa operazione di adattamento, la pellicola sia da segnalare come un buon lavoro.
Ok lo ammetto Luca Argentero è un attore che si sta mettendo in luce in pellicole originali,  meglio di tante altre, vedi “Lezioni di cioccolato” di Claudio Cupellini, e che fa progressi, nelle sue capacità attoriali, ad ogni film.

In questo post:
1.Plot outline di eventi es esistenti
2.Storia e discorso – cenni
3.Limiti (ma anche no)
4.Conclusioni

1. Plot outline di eventi ed esistenti
Il film ci parla del dolore, del lutto, della morte vera e di quella interiore.
Di abbandoni, di elaborazioni difficili, quelle toste da superare, ma che ci consentono di maturare e di crescere.
Ma anche di nascite, di rinascite, di un nuovo amore sotto più accezioni del termine.
Di gioie che nascono dai pianti a da pianti che nascono nelle gioie.

2. Storia e discorso – cenni
Va anche detto che molte riprese dimostrano che il regista ha colto, con capacità innovative, la potenzialità di descrivere lo spazio ed il tempo di una storia sfruttando opzioni di narrazione visiva. Nel film ad esempio leggiamo molto distintamente, nel linguaggio audiovisivo di Lucini, cose che sono nel campo visivo del protagonista, ed, al tempo stesso, altre che rimangono nel suo esclusivo campo uditivo (come ad es. nella bellissima e catartica sequenza del compleanno della figlia).

3. Limiti (ma anche no)
Un difetto? Troppo marketing made in Italy, ma ripensandoci meglio, why not?
Certo, va detto, tutti vorremmo essere un po’ belli, romantici, delusi e fighi, come Argenetero, e, sopratutto, se reduci da lutti  gravi, conoscere una ricercatrice francese psicologa, solare come quella del film,  che accogliesse il nostro dolore e lo trasformasse in amore. Ma si sa nei film funziona così.
Magari un eccesso di sentimentalismo affiora qua e la’, ed in certe sequenze la musica (sopratutto quella dei REM), sovrasta forse un po’ troppo le immagini, ma le letture del regista mi sembrano migliorate direi, più  mature e profonde.

4. Conclusioni
Ma la verità è che questo film segna un po’ una svolta nel suo specifico filmico, che ci sembra importante sottolineare. Il racconto si nutre, ora, di risvolti non banali in termini di eventi ed esistenti che lo compongono, e certi peccati veniali si lasciano, pertanto, assolutamente perdonare.
Ok lo ammetto forse dovrei dare meno di quattro stars, ma il film l’ho visto in sala, è mi è piaciuto assai. Ma proprio assai. Anche la colonna sonora (Giorgia a parte) merita.
Lei: “Guarda che la mia vita è un casino” Lui: “Anche la mia”.
E la mia allora?” ;)

Annotazioni a margine (certo dovrei parlarvi …)
Certo dovrei parlarvi del tema dello sviluppo del conflitto agito, prevalentemente, un po’ in tutti gli esistenti, in una prospettiva inter-personale (cioè tra l’esistente e se stesso ed i suoi limiti), un prospettiva che esigerà che gli esistenti protagonisti, e Carlo in particolare, dovranno affrontare i propri mostri, e risolvere le loro questioni irrisolte, per arrivare alla catarsi finale.
Certo dovrei parlarvi, anche, degli esistenti secondari, alcuni caratterizzati bene, altri forse un po’ troppo stereotipati, ma è che la storia è quasi tutta incentrata su Carlo e Camille, ed in un post così sintetico non avrebbe senso una simile apertura.
E certo dovrei parlarvi, infine, di come abbiamo visto quasi superfluo il ruolo di Caludia Pandolfi, completivo certo, necessario, arriverei a dire, per comprendere a fondo le motivazioni all’agire di Carlo, ma non sempre convincente, né in fase di screenplay, né in fase di resa attoriale, risultando alla fine poco più di un cameo, ma non sarebbe corretto aprire questa parentesi, aspettando che, prima o poi, questa brava e promettente attrice sbocci, invece di rimanere, ahimè, quantomeno in sala, sempre, la promessa mancata del cinema italiano.
http://www.cinemavistodame.com/2008/11/30/solo-un-padre-di-luca-lucini-2008/
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Bello, giovane, professionalmente affermato nel suo lavoro di dermatologo, Carlo è anche un vedovo con una bimba di dieci mesi, la dolce Sofia. La moglie Melissa è morta nel dare alla luce la loro figlia, e questo fatto – insieme a un segreto che si porta dentro – procura in Carlo un senso di colpa che è più forte del dolore stesso. Genitori, amici e colleghi si fanno in quattro per consolarlo, aiutarlo nel badare alla bambina (ci sono tutti gli inconvenienti classici: insonnia notturna, difficoltà di alimentazione, paure del genitore inesperto per la salute del pupo…), trovargli una nuova compagnia femminile. Ma gli esiti sono infelici (e disastrosi nell’approccio con l’ansiosa Caterina; che lo tormenta nella speranza di accalappiarlo), finché non si palesa nella sua vita la giovanissima e dolce Camille, che lo fa sorridere e lo intenerisce nella sua semplicità. Ricercatrice francese trasferitasi a Torino – dove si svolge la storia – per seguire uno studio sulla mappatura del cervello, Camille si adatta a fare da baby sitter saltuaria alla piccola Sofia. Farà centro nel cuore di Carlo, che troverà il coraggio di rivelare a se stesso e agli altri il segreto che l’affligge (che ovviamente non riveliamo) e riaprirsi alla vita.
Tratto dal romanzo Avventure semiserie di un ragazzo padre dell’australiano Nick Earls, Solo un padre è una commedia romantica di cui si sente l’origine anglosassone: in tanti hanno immaginato un film simile con Hugh Grant nei panni del protagonista. E in effetti ricorda a tratti le commedie con l’attore inglese, virando però spesso con brusche sterzate verso quelle hollywoodiane meno raffinate con Ben Stiller (c’è un gatto che ricorda quello di Ti presento i miei). E in questo non saper scegliere tra registro tra commedia e dramma, tra toni sospesi che tendono alla commozione e scivolate nel comico e nel grottesco, ne risente l’equilibrio narrativo. Come anche l’inserimento di personaggi un po’ sopra le righe, come l’amico superficiale che non trova la ragazza giusta (la troverà, ovviamente), la donna stressante da sempre innamorata di lui e che gli dà il tormento, il gay sempre allegro (oltre tutto interpretato dal dipendente “sfigato” della sitcom Camera cafè…).
Quarto film di Luca Lucini (che dopo aver lanciato Riccardo Scamarcio in Tre metri sopra il cielo e aver fatto di meglio con lo spigliato L’uomo perfetto e il notevole e sottovalutato Amore, bugie e calcetto ), Solo un padre genera dunque all’inizio aspettative che poi strada facendo delude. Perché i temi del dolore e del senso di colpa sono affidati a dialoghi serrati che spiegano troppo, a situazioni svelate con meccanismi facili (i flashback, la moglie morta che appare e parla al protagonista) che non fanno scattare il giusto coinvolgimento: così, il film rischia di non riuscire credibile né quando vuol far ridere né quando cerca di commuovere (anche se in alcuni momenti ovviamente, visto il tema, fa risuonare corde sensibili negli spettatori). Il che, visto il tema, è davvero sorprendente.
Soprattutto Lucini, ottimo narratore e tra i pochi giovani registi che preferisce affidarsi a sceneggiature altrui (qui quella di Fabio Bonifacci, altrove più ispirato), stavolta eccede qua e là in inquadrature “artistiche” e sequenze a effetto, invece di puntare sulla storia e sulla sceneggiatura; quasi a non fidarsi (non a torto, considerati i difetti) di entrambe. Lo stesso “colpo di scena”, quando arriva più che un colpo al cuore – come vorrebbe essere – è un colpo definitivo alla credibilità della storia. Non tanto in sé (non c’è niente di impossibile a questo mondo), ma per come viene raccontato.
Di positivo ci sono i due protagonisti: se Luca Argentero, ex concorrente del Grande Fratello tv, dopo Saturno contro e Lezioni di cioccolato, cresce a ogni film, la minuta e graziosa Diane Fleri (già apprezzata in Mio fratello è figlio unico) si impone a pieno titolo come uno dei volti più interessanti dell’attuale cinema italiano.
Antonio Autieri
http://www.sentieridelcinema.it/recensione.asp?ID=906


Ogni pulsione ha una sua particolare fisiognomica. E la pulsione del dolore, quando la memoria si aggancia alle esperienze più lancinanti rimanendo incagliata tra presente e passato, è capace d’imprimere il proprio marchio nell’espressione più di qualsiasi sentimento. Accade quando si diventa prigionieri di sé stessi, segnati da traumi trascorsi, e i sorrisi tirati fungono da maschera del disagio quotidiano: il dolore ama nascondersi, come testimonia qualunque cul de sac esistenziale e ritrovare la strada del dialogo, con la propria coscienza e con quella del mondo, è un tragitto assai difficile da percorrere.
Qui si racconta la storia di un padre. Di un trentenne rimasto vedovo con una figlia di dieci mesi a carico. Una storia apparentemente semplice, ma difficile da rappresentare con la dovuta acutezza e sensibilità. Trovarsi di fronte al peso di una responsabilità biologica (l’aver messo al mondo una creatura) può essere viatico di un rigenerante apprendistato. Ed è questo il tragitto di Carlo, il dermatologo protagonista di Solo un Padre, film con cui il regista Luca Lucini compie un passo avanti scrollandosi di dosso l’esperienza didascalica e sorniona di Tre Metri Sopra il Cielo e L’Uomo Perfetto (entrambi con Riccardo Scamarcio) e la nervosa enfasi del precedente Amore, Bugie & Calcetto. Il Carlo di Luca Argentero (che scopriamo attore in fase di crescita) ha una carriera ben avviata, amici solidali in grado di confortarlo, genitori premurosi ed affettuosi (interpretati da Gianni Bisacca e Elisabetta De Palo), un fisico atletico mantenuto dallo jogging quotidiano, un auto sportiva e una bella casa. Suo principale sostegno emotivo è la splendida e dolcissima Sofia, detta Fagiolino (in scena le sorelline Michela e Fabiana Gatto), vibrante ed incerta, capace di risucchiare energie fisiche e mentali come sanno esserlo le neonate. La piccola è nata mentre Melissa (Claudia Pandolfi) moriva sul tavolo operatorio nel metterla al mondo. Carlo, elaborando a fatica il suo lutto, si è legato ad amici che condividono il suo stesso lavoro: l’estroso e spiritoso Giorgio (Fabio Troiano) e l’omosessuale Oscar (Alessandro Sampaoli) entrambi capaci di riempire i vuoti delle sue serate. Ed ecco che davanti lo specchio convesso, nel quale Carlo si riflette confondendosi coi tratti vispi ed intelligenti della figlioletta, appare la single Caterina (interpretata dalla promettente Anna Foglietta di cui abbiamo notato la presenza nell’interessante esordio della regista siracusana Lisa Romano, Se Chiudi gli Occhi, film che, come questo di Lucini, sa mescolare dramma ed ironia). E’ una donna incredibilmente generosa, che ama il suo gatto e corteggia il nostro ragazzo padre inviandogli spesso delle e-mail eloquenti. Fino a quando una mattina, durante una corsa lungo il fiume Po, Carlo incontra casualmente Camille (la dolce Diane Fleri), una ricercatrice francese trasferitasi a Torino per ragioni di studio. L’afflato, destinato a trasformarsi in solidarietà, provoca un effetto catartico e una metamorfosi fisiognomica che apre la rigenerante prospettiva di un’autoanalisi sincera in Carlo. Quando Camille entra con decisione nella sua vita, i toni da commedia della prima parte del film si stemperano in quelli sentimentali della seconda. Facendo luce sull’esperienza passata, il protagonista ora può rileggere ed interpretare la qualità del suo ménage con la moglie Melissa scoprendo che esso si era già consumato prima della nascita della piccola.
Derivato da un romanzo di un brillante scrittore australiano di nome Nick Earls intitolato "Le disavventure semiserie di un ragazzo padre", sceneggiato con mano sensibile da Giulia Calenda e Maddalena Ravagli, Solo un Padre è una parabola morale lavorata con tocchi delicati ed un buon equilibrio drammaturgico anche se lo script sacrifica alcuni personaggi secondari, come il gruppo di amici di Carlo, come l’esuberante figura di Caterina al centro di una cena casalinga (dove l’impacciato protagonista combina guai nel bagno) e come la segretaria dello studio Eleonora (Sara D’Amario). Con questa sua equilibrata prova Lucini si mostra assai abile a fotografare con la dovuta espressività Torino (con l’ausilio del direttore Manfredo Archinto) rendendone la dimensione di capitale europea ed accentuandone le tonalità malinconiche in linea con lo spirito del racconto. Anche gli ambienti interni assumono una loro dimensione narrativa: l’elegante abitazione di Carlo in relazione con l’habitat precario di Camille, con problemi di ristrutturazione e di corrente elettrica. Il personaggio del libro di Earls è uno di quelli che sarebbero piaciuti a Hugh Grant (anche se i padri e i mariti incarnati dall’attore inglese risultano più cinici). Con questo climax sospeso tra Woody Allen e Nick Hornby, Solo un Padre evoca atmosfere apparentabili a quei drammi romantici americani dove il paesaggio si fonde alle identità più segrete dei personaggi.
Una sequenza come quella della voce di Melissa, ormai morta, che echeggia nella segreteria telefonica messa in moto dalla vivace Fagiolino è una sfumatura mélo che rimanda all’incipit commovente di Grace is Gone dove John Cusack si trascina malinconico mentre risuona l’ultima incisione vocale della moglie che morirà in Iraq. Ed è curiosa l’analogia tra il personaggio di Argentero e quello di Richard Gere, chirurgo plastico nell’imminente Come un Uragano, folgorato dal dolore che lo attanaglia (la morte sul tavolo operatorio di una paziente affetta da un tumore alla pelle) durante una corsa sulla spiaggia di Rodanthe. Anche Carlo è sedotto epifanicamente mentre si ritrova a contatto con la natura, nel paesaggio di un mare in tempesta. E’ quello l’istante in cui il dolore si trasforma in consapevole adesione alla necessità del vivere, in coscienziosa presa d’atto del proprio, importante ruolo di genitore.
Ad incorniciare con il dovuto vigore questo film attento a calibrare lacrime e sorrisi, troviamo le musiche originali di Fabrizio Campanelli e una celebre canzone dei R.E.M., "Everybody Hurts", che evoca, sottolineandolo emblematicamente, il frastagliato percorso di resurrezione di Carlo, giovane padre di oggi.
http://www.revisioncinema.com/ci_solounpadre.htm

martes, 26 de febrero de 2013

Brancaleone alle crociate - Mario Monicelli (1970)


TÍTULO ORIGINAL Brancaleone alle crociate
AÑO 1970 
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Español e Inglés (Separados)
DURACIÓN 116 min. 
DIRECTOR Mario Monicelli
GUIÓN Mario Monicelli, Agenore Incrocci, Furio Scarpelli
MÚSICA Carlo Rustichelli
FOTOGRAFÍA Aldo Tonti
REPARTO Vittorio Gassman, Adolfo Celi, Stefania Sandrelli, Beba Loncar, Gigi Proietti, Lino Toffolo, Paolo Villaggio, Gianrico Tedeschi, Sandro Dori, Shel Shapiro
PRODUCTORA Coproducción Italia-Argelia; Fair Film / O.N.C.I.C.
PREMIOS 1971: Festival de San Sebastián: Mejor actor (Vittorio Gassman)
GÉNERO Comedia. Aventuras | Secuela. Edad Media 

SINOPSIS Secuela de "La armada Brancaleone". El caballero medieval Brancaleone organiza una expedición hacia Tierra Santa, liderada por un visionario monje, pero bastante desorientado para encontrar el camino a Jerusalén. En su camino se encontrarán con otro grupo que les acusa de herejía; además de mutilados, leprosos, brujas... (FILMAFFINITY)




La esperada secuela de "La Armada Brancaleone". El caballero medieval Brancaleone Da Norcia organiza una expedición hacia Tierra Santa,liderada por un monje visionario, pero bastante desorientado para encontrar el camino a Jerusalén. En su camino se encontrarán con otro grupo que les acusa de herejía, además de mutilados, leprosos y brujas...
Mario Monicelli estrenó el film cinco años después de "La armada Brancaleone", que había obtenido notable repercusión. "Brancaleone alle crociate" - Brancaleone en las Cruzadas- se vincula con el primer episodio a partir de la llegada del "héroe" (espectacular Vittorio Gassman en una de sus grandes creaciones) a tierra firme, luego de su peregrinar para incorporarse a las Cruzadas.
Se destaca la extraordinaria fotografía de Aldo Tonti, que realza el recorrido de Brancaleone por Tierra Santa. En esta ocasión, éste no lleva a cabo su periplo sólo con la compañía de su ejército -tropa curiosa pero tropa al fin- sino tambien con un agregado femenino bien diferente: la princesa rubia que se vale de sus servicios (Beba Loncar) y una muchacha a quien acusan de bruja (Stefanía Sandrelli).
También vale la pena destacar a tres de los nuevos miembros de su "Ejercito": el cruzado alemán sicópata interpretado por Paolo Villagio, el penitente cristiano masoquista, un muy particular leproso y la aparición del gran Adolfo Celli interpretando a un rey que sólo habla en rima.
Mario Monicelli y sus guionistas habituales, Age y Scarpelli, urden una trama que encadena maravillosos y divertidos gags (que en su época fueron transgresores), en lo que parece un precedente de algunas parodias de Monthy Pyton.
En el Festival de San Sebastián de 1971, "Brancaleone alle Crociate" recibió el premio a la mejor interpretación masculina para Vittorio Gassman
***
Vittorio (por Mario Monicelli)
Fue conmigo que Vittorio ingresó al cine como actor de comedia, con "LosDesconocidos de Siempre". Antes de eso, hasta fines de los años cincuenta, sólo se conocía su faceta de actor serio, dramático. El hecho es que nosotros dos éramos amigos, grandes amigos.
Como yo frecuentaba mucho a Vittorio, y en ámbitos que excedían los escenarios, sabía que su profunda capacidad de observación le permitían el humorismo y la parodia. En el teatro Vittorio adoptaba un tono autoritario que no utilizaba en la vida real, en la que se destacaba por ser un hombre de un ingenio irresistible y un director tenaz y explosivo.
Teníamos mucha confianza. Recuerdo largos paseos que abundaban en discusiones y contrastes, pero que se caracterizaban siempre por su tono humorístico. Si había algo que invariablemente lo irritaba, eran mis opiniones sobre la tragedia griega. El la idolatraba, le parecía algo sagrado, intocable. Yo le contestaba que, a mi modo de ver, tenía una retórica pomposa y que, en el fondo, todas las tragedias clásicas no eran más que libros policiales. No lo soportaba.
Cuando le propuse interpretar un personaje cómico, el de Los desconocidos de siempre, con guión de Age y Scarpelli, a quienes apreciaba mucho, Vittorio aceptó con sorpresa y entusiasmo. Finalmente se permitía ser él mismo. El rodaje fue muy placentero y gracioso. También fue ahí donde se conocieron Gassman y Totó, que encarnaba al gran maestro de robo de cajas fuertes. Junto con los hermanos Marx, Totó era el cómico a quien más admiraba Vittorio. Según me contó, lo dejaba pasmado. Lo encontraba sorprendente, su genio cómico superaba en mucho todo lo que él pudiera haber imaginado.
Luego Vittorio rodó conmigo "La Gran Guerra" y, a fines de los años sesenta y principios de los setenta, se convirtió en Brancaleone.
Fueron dos películas, "La Armada Brancaleone" y "Brancaleone en las Cruzadas". Una vez más el personaje está pensado para él. Age y Scarpelli pensaban en una saga
medieval que fuera realista, en oposición al mundo de los caballeros andantes y
las doncellas remilgadas que suelen pintarnos en la escuela. El nuestro sería un medioevo bárbaro, salvaje, repleto de miseria y suciedad, habitado por caudillos corruptos y groseros.
Vittorio le dio pleno sentido a todo: en el papel de Brancaleone se autoparodió de manera genial; se burló de su propia exaltación y retórica de actor serio reconocido y consumado. Construimos un lenguaje absurdo, "medievalizante" y cómico, que caracterizó a Brancaleone.
Vittorio se posesionó totalmente del personaje, logró comprenderlo, interpretarlo con soltura, hacerlo creíble. Nuevamente el clima de trabajo se destacó por su tono divertido y liviano, como pasa cuando se trabaja con grandes actores, con aquellos cuya solvencia no tiene límites.
http://funcion-especial.blogspot.com.ar/2010/10/brancaleone-en-las-cruzadas.html


Non credo di sbagliarmi nel pensare che quando Mario Cecchi Gori, Age, Scarpelli, Monicelli e Gassman si ritrovarono più di quattro anni dopo l'Armata Brancaleone fossero ben consapevoli del rischio che correvano: quello di annoiarsi per mesi e mesi. Il necessario cinismo della iperproduzione di alta qualità che li contraddistingueva rendeva chiarissimo a tutti loro come sarebbe andata: incassi molto buoni e critiche lusinghiere, con qualche antipatico ma lieve confronto col film precedente. Si trattava solo di approntare la nuova compagnia, considerato che Catherine Spaak e Gian Maria Volontè non ne avrebbero fatto parte, e di utilizzare le mille possibilità consentite dal linguaggio inventato, mischiando bene cultura, maccheronico e goliardico, ed agitando bene il tutto durante la ventina di sketches che avrebbero costituito la trama del film. Uffa, che noia!
Pur di non annoiarsi, ognuno ci mise del suo, compreso il produttore, perché metà del film si fece in Algeria, in una zona contigua al deserto del Sahara. L'altra metà, una qualsiasi delle mille location fra Lazio, Toscana ed Umbria andava bene.
Entrarono a libro paga dei nomi nuovi, rispetto all'Armata Brancaleone: Gianrico Tedeschi, che fa Pantaleo, una specie di eremita colto e speleologo, circondato da enormi tomi che cerca di distribuire in giro, Lino Toffolo, nella parte di Panigotto da Vinegia, che fa da interprete (i veneziani erano quelli che sapevano tutte le lingue del Mediterraneo), una parte piccola, ma in cui pronuncia le immortali parole "un sol grido un solo idioma: scapoma!", poi quell'avido di Gigi Proietti, che si prese tre parti: il peccatore dal peccato inconfessabile che si autopunisce anche assumendo il soprannome di Pattume, Colombino lo stilita, che deve decidere se ha ragione papa Gregorio o l'antipapa Clemente, e la Morte, eh sì! ma ci tornerò. E poi entrò nel cast Paolo Villaggio, che col cinema era gli inizi (il primo Fantozzi l'avrebbe fatto cinque anni dopo) e che fece la parte sua, quella del mercenario sempre disposto a schierarsi con chi è in vantaggio, per di più alemanno, difatti si chiama Thorz. La parte di Berta d'Avignone, giovane principessa molto sostenuta ma dal passato movimentato, fu assegnata a Beba Loncar, slava con l'aria fine da non crederci.
La streghetta Tiburzia da Pellocce (che si chiama anche Viperilla o Felicilla) fu assai felicemente di Stefania Sandrelli. Credo che fosse Gassman ad insistere perché Re Boemondo lo facesse Adolfo Celi, suo amico carissimo, che riesce a parlare in ottonari per più di un quarto d'ora senza che gli scappi da ridere. Anche Age e Scarpelli si dettero da fare per non annoiarsi: il linguaggio di Brancaleone alle crociate è molto evoluto rispetto al primo film, difatti il goliardico per le risate facili sparisce del tutto, si inventa il gioco degli ottanari a rima baciata, a cui oltre a Boemondo prende parte Brancaleone. E' un linguaggio più profondo e più vasto, ecco come si autodefinisce Brancaleone:
"Sono impuro. Eh eh! Bordellatore insaziabile, beffeggiatore, crapulone, lesto di lengua e di spada, facile al gozzoviglio... fuggo la verità e inseguo il vizio", nel primo film non avrebbe parlato così.
Però quelli che dettero la svolta decisiva furono Monicelli e Gassman. Che si poteva fare perché i personaggi non sembrassero solo dei mirabili burattini, ma delle persone in carne ed ossa, come dare profondità umana ad un film del genere? Semplice, introdussero un personaggio ben noto e che, in vari modi, compare spesso nel film: la Morte. La morte incombe all'inizio, con la strage degli scismatici seppelliti con la testa sotto ed i piedi che sbucano dalla terra, poi compare di persona (con la falce regolamentare) a Brancaleone, dicendogli che fra sette lune lo verrà a prendere, poi incombe nel possibile rogo in cui Viperilla (o Felicilla?) dovrebbe bruciare, e con la testimone a carico che depone con la testa sul ceppo e la minaccia della scure sul collo, poi nel lebbroso col campanello alla caviglia, completamente coperto, che spaventa tutti, salvo accorgersi nella seconda metà del film che era Berta d'Avignone. Soprattutto la Morte è presente nella scena degli impiccati all'albero che ci parlano: "Et ora pendoliamo fianco a fianco come morte foglie, e lo vento benevolo a tratti un po' ci ravvicina", qui non c'è niente di scherzoso, e giustamente, per questa scena grandiosa, qualcuno ha ricordato i versi di François Villon, che era meravigliosamente ancora un uomo del Medioevo:

Freres humains qui aprés nous vivez,
n’ayez les cuers contre nous endurcis,
car, se pitié de nous povres avez,
Dieu en aura plus tost de vous mercis.
Vous nous voiez cy attachez cinq, six:
quant de la chair, que trop avons nourrie,
elle est pieça devorée et pourrie,
et nous, les os, devenons cendre et pouldrie.
De nostre mal personne ne s’en rie;
mais priez Dieu que tous nous vueille absouldre!

Dopo sette lune, la Morte ricomparirà di nuovo a Brancaleone, solo nel deserto, per portarselo via. Brancaleone, che non a caso si è autodefinito poco prima Cavaliere Errante (è cresciuto, in questo film), impegnerà l'ultimo dei suoi combattimenti, e quando sta per soccombere, si interporrà fra lui e la falce la streghetta innamorata di lui, definitivamente Felicilla, e la Morte se ne andrà, la sua vittima l'ha avuta. Brancaleone non rimarrà solo nel deserto, arriva una gazza vivacissima che l'accompagna e lo festeggia: è Felicilla in una delle sue mille trasformazioni!
Si ride certamente meno che ne l'Armata Brancaleone, ma quelli di cui parlavo all'inizio non si sono certo annoiati, e ci hanno fatto un gran bel regalo.
P.S. L'episodio della Morte-persona, ed in particolare della morte che non agisce subito, ma dà un po' di tempo, si ispira, forse inconsciamente - Monicelli lo nega - alla Morte del Settimo sigillo di Bergman.
Lo stilita Colombino mi richiama in mente il Simon del deserto di Bunuel.
Il lebbroso tutto coperto (che poi è Berta d'Avignone) mi ha fatto un po' acrobaticamente pensare a I sette samurai di Kurosawa: quando camminano verso il villaggio da difendere dai briganti, sei samurai camminano insieme, il settimo, Kikuchiyo, li segue a distanza tenendoli di vista, e la stessa cosa succede in Brancaleone alle crociate.
E l'albero degli impiccati di Monicelli l'ho rivisto in un film abbastanza recente: Il mestiere delle armi di Ermanno Olmi.
http://abbracciepopcorn.blogspot.com.ar/2007/09/brancaleone-alle-crociate.html


La pittura nel cinema: Brancaleone alle crociate
I titoli di testa e di coda di Brancaleone alle crociate sono di Emanuele Luzzati (1921-2007), nella usuale collaborazione con Giulio Gianini, e a questo si aggiunge che il film è organizzato per episodi, ed all'inizio di ogni episodio c'è una illustrazione di Luzzati che mette subito in medias res, dice cioè quale sarà il tono dell'episodio.
Di sé diceva con eleganza lieve di non essere pittore, intendendo certamente di sentirsi soprattutto artigiano: illustratore, scenografo, ceramista. Quasi tutti, quando vediamo una illustrazione di Luzzati la riconosciamo immediatamente per il suo stile inconfondibile, ma forse non sappiamo quanto lavoro ha fatto, dalle scene per le rappresentazioni nei principali teatri lirici (ma anche per spettacoli di prosa e di danza), alle illustrazioni per i libri di Calvino e Rodari (anche la Divina Commedia, per il Corriere della Sera), ai film di animazione (sempre con Gianini). Ha utilizzato terracotte e smalti, arazzi, collage e incisioni; ha inventato i costumi, oltre a realizzare i bozzetti di scena. Ha persino arredato navi, palazzi e parchi giochi. In Piazza Carlo Felice a Torino allestì un grande presepe aggiungendo le figure delle fiabe. Si ispirò spesso, e lo si capisce solo a pensarci, al Flauto Magico di Mozart, e si tenne una mostra nella casa di nascita di Mozart a Salisburgo. E ricordo anche le mostre "Viaggio nel Mondo Ebraico" a Milano e a Roma, nell'anno 2000.
Torno a Brancaleone alle crociate. Le illustrazioni di Luzzati sono ancor più appropriate di quelle fatte per L'armata Brancaleone: c'è una perfetta corrispondenza con le intenzioni del regista Mario Monicelli.
Solimano

lunes, 25 de febrero de 2013

La calda vita - Florestano Vancini (1963)

TÍTULO ORIGINAL 
La calda vita
AÑO 
1964 
IDIOMA 
Italiano (Dual - Pistas separadas:una con traductor en ruso))
SUBTITULOS 
Español e Inglés (Separados)
DURACIÓN 
110 min. 
DIRECTOR 
Florestano Vancini
GUIÓN 
Marcello Fondato, Elio Bartolini, Florestano Vancini (Novela: Pier Antonio Quarantotti Gambini)
MÚSICA 
Carlo Rustichelli
FOTOGRAFÍA 
Roberto Gerardi
REPARTO 
Catherine Spaak, Fabrizio Capucci, Jacques Perrin, Gabriele Ferzetti, Halina Zalewska, Marcella Rovena, Daniele Vargas
PRODUCTORA 
Co-producción Italia-Francia; Jolly Film / Les Films Agiman
GÉNERO 
Drama. Romance 

Sinópsis
Fanciulla inquieta si barcamena tra due amici coetanei innamorati di lei, poi si concede a un adulto. Uno dei due ragazzi si uccide. Dal romanzo (1958) di Pier Antonio Quarantotti Gambini, un dramma sulla gioventù che, all'epoca, fece scalpore. Oggi fa sorridere. Bella fotografia di R. Gerardi. (Il Morandini)
 
1 
2 
3 

Trama
Sergia, un'adolescente curiosa e irrequieta, accetta la corte di due suoi coetanei, Max e Fredi, e con loro si reca a passare una breve vacanza in un'isola disabitata. Le intenzioni dei due giovani, amici e rivali ad un tempo, sono quelle di tentare ciascuno a suo modo l'avventura con Sergia. Costei però, scaltra ed abile nelle schermaglie sentimentali, sa tenere a bada l'uno e l'altro. Finirà col cedere a Guido, il maturo proprietario della villa in cui i ragazzi, abusivamente, hanno trascorso la notte. L'accaduto provocherà in Max e Fredi una profonda delusione che spingerà Max, il più sensibile ed il più innamorato, ad uccidersi. Rifiutata la proposta di matrimonio fattale da Guido, Sergia, divenuta una donna chiusa e fredda, andrà a lavorare all'estero come interprete.

Scheda Tecnica
Il film di Florestano Vancini "La calda vita" del 1964 si può considerare, a tutti gli effetti, una mancata storia istriana, ma merita comunque una citazione.Infatti il film ha una radice letteraria, quella dell'omonimo romanzo di Pier Antonio Quarantotto Gambini e l'ambientazione del libro è quella istriana poco prima della seconda guerra mondiale, ma la scelta di Vancini è in un'altra dimensione perchè trasferisce la vicenda in Sardegna negli anni Sessanta.Il romanzo "La calda vita", che alcuni critici hanno giudicato con troppa severità, è ambientato nel 1939, alle soglie della seconda guerra mondiale. Scritto senza risparmio, supera le ottocento pagine: e rappresenta un ambizioso quadro d'ambiente, che attraverso le vicende di alcuni personaggi vuol ritrovare il sentimento preciso di un momento storico. Fra gli eroi del libro campeggia anche il poeta Umberto Saba, da un verso del quale e tratto il titolo.Sergia, la giovanissima protagonista, scopre a sue spese il sapore della calda vita in un'isola della costa istriana dove due ragazzi e un uomo si scontrano travolti dalla sua bellezza.La vicenda privata, che ha quasi un sapore di tragedia, si inserisce in un quadro di fosche previsioni per l'immediato avvenire, dove solo una stoica accettazione dalla realtà potrà suggerire una linea di condotta.
http://www.arcipelagoadriatico.it/cinema.php?id=00013
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Siamo in Sardegna su un’isola deserta, dove Fredi [Jacques Perrin] e Max [Fabrizio Capucci] hanno condotto Sergia [Catherine Spaak] con il mutuo accordo di portarsela a letto entrambi. La villa dove trascorrono alcuni giorni di vacanza non è dello zio di Fredi, come lui fa credere alla ragazza, ma di un maturo borghese che quando arriva in motoscafo riprende possesso della sua abitazione. Fredi e Max diventano rivali per colpa di Sergia:  il secondo pensa che lei abbia fatto l’amore con l’amico, ma non è vero, perché hanno soltanto dormito nello stesso letto. Sergia si trasforma nell’oggetto del desiderio dei coetanei che lottano per lei e ad un certo punto Max rischia persino di uccidere l’amico. Nel menage a trois irrompe la variabile di Guido, l’uomo maturo che incontra la lolita in mare aperto e la conquista con modi galanti. Tra l’altro la ragazza perde la verginità proprio con lui, ingannandolo sul fatto che non fosse mai stata con un uomo. Max si suicida per la disperazione. Fredi è in collera con Guido, tenta di picchiarlo, sa bene che per colpa sua ha perduto ragazza e amico. Tutto finisce con la ragazza che si riprende la sua libertà e rifiuta di sposare l’uomo maturo. “Ho diciotto anni”, dice. Un matrimonio riparatore non fa parte dei suoi interessi e neppure una sistemazione borghese. Guido ne esce distrutto perché si era innamorato.
Un film ben girato, caratterizzato da un’ottima fotografia sarda, interpretato da attori ben diretti e chiaramente ispirato alla filosofia di Michelangelo Antonioni. Troviamo l’accusa al mondo borghese e il problema della difficoltà dei rapporti interpersonali, ma il regista affronta anche il contrasto generazionale e i rapporti uomo-donna nella loro globalità. Le psicologie dei personaggi sono molto approfondite e in linea con il periodo storico, molto credibili i due ragazzi con la loro fragilità e anche il maturo borghese innamorato della ragazzina. Catherine
Spaak si concede in numerosi nudi, coperti astutamente da rocce e mare in diverse occasioni, ma è molto affascinante nel consueto ruolo da lolita che fa innamorare un uomo maturo. La censura non permette che venga pronunciata la parola “vergine” e il regista deve trovare una serie di locuzioni per far capire la situazione fisica della ragazza. Inutile dire che anche i nudi integrali devono essere coperti, così come è impossibile mostrare rapporti erotici. In ogni caso la Spaak è bellissima in bikini mentre fa sci d’acqua, quando prende il sole nuda sulle scogliere, quando si tuffa e nuota nelle acque azzurre della Sardegna. La sua interpretazione da ragazza libera e disinibita, lolita sbarazzina che civetta con i coetanei e fa cadere ai suoi piedi gli uomini adulti, è spontanea e convincente. La calda vita [1964] è un dramma sulla gioventù e un’accusa al perbenismo borghese che al tempo fa scalpore, sia per il finale tragico che per una morale non consolatoria. Adesso fa soltanto pensare al passato e a come siano cambiati i tempi.
Florestano Vancini [Ferrara, 1926 - Roma, 2008] è un regista importante del nostro cinema, un autore impegnato politicamente e da un punto di vista socio-psicologico. Proviene dal documentario, aiuto regista di Mario Soldati e di Valerio Zurlini, esordisce alla regia con La lunga notte del ’43 [1960], tratto da una storia ferrarese di Giorgio Bassani, forse il suo film più rappresentativo per efficacia narrativa. Si avvicina alla tematica erotica con Le italiane e l’amore [1962], diretto da uno squadrone di registi, dove lui firma La separazione legale, un lavoro collettivo per indagare i comportamenti sessuali degli italiani che diventa un’antologia di storie interpretate da attori non professionisti. I lavori successivi sono La banda Casaroli [1962], sulla delinquenza nel dopoguerra e, appunto, La calda vita [1964].
Gordiano Lupi
http://www.ingenerecinema.com/la-calda-vita-di-florestano-vancini/


Villasimius è un comune di 3.515 abitanti della provincia di Cagliari, situato a 2 km dal mare, meta turistica tra le più note del Sud-Est della Sardegna per le sue acque azzurre e le sue lunghe spiagge di sabbia candida, spesso utilizzate come sfondo, non solo per importanti spot televisivi, quali Fiat, Estathe, Infostrada, Telefonia Tre e numerosi altri, ma anche per alcune produzioni cinematografiche.
A Villasimius sono stati girati “La Calda Vita”, film di Florestano Vancini del 1964 con Catherine Spaak, Gabriele Ferzetti, Jacques Perrin e Fabrizio Cappucci. Il set del film venne allestito in una villa con vista sul mare e sullo stagno di Notteri (vedi location marine: spiaggia Porto Giunco). Il mare e le spiagge di Villasimius sono stati scelti come location nel 2004 anche dal regista François Ozon per il film “Cinqueperdue – frammenti di vita amorosa”. Ultimo in ordine di tempo, il set della fiction “Disegno di Sangue“ del regista Gianfranco Cabiddu, che ha scelto tra le diverse location la solitaria cava Usai (vedi Location marine).
http://www.cinemecum.it/newsite/index.php?option=com_content&view=article&id=2001:villasimius-scheda-informativavillasimius&catid=35&Itemid=411

domingo, 24 de febrero de 2013

Una giornata particolare - Ettore Scola (1977)


TÍTULO ORIGINAL Una giornata particolare
AÑO 1977 
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Español e Inglés (Separados)
DURACIÓN 105 min. 
DIRECTOR Ettore Scola
GUIÓN Ruggero Maccari & Ettore Scola
MÚSICA Armando Trovajoli (AKA Armando Trovaioli)
FOTOGRAFÍA Pasqualino De Santis
REPARTO Sophia Loren, Marcello Mastroianni, John Vernon, Françoise Berd, Patrizia Basso, Nicole Magny
PRODUCTORA Campagnia Cinematografica Champion S.P.A. / Conafox Films lnc. / Carlo Ponti
PREMIOS
1977: 2 nominaciones al Oscar: Mejor actor (Marcello Mastroianni) y película extranjera
1977: Globos de oro: Mejor película extranjera
1977: Festival de Cannes: Nominada a la Palma de Oro (mejor película)
1977: Premios David di Donatello: Mejor director y actriz (Sophia Loren)
1977: Premios César: Mejor Película extranjera
GÉNERO Drama | Años 30 

SINOPSIS El 6 de mayo de 1938, Hitler visita Roma. Es un día de fiesta para la Italia fascista, que se vuelca en el recibimiento. En una casa de vecinos sólo quedan la portera, un ama de casa, Antonietta, y Gabriele, que teme a la policía por algún motivo desconocido. Al margen de la celebración política, Antonietta y Gabriele establecen una relación afectiva muy especial que les permite evadirse durante unas horas de la tristeza y monotonía de la vida cotidiana. (FILMAFFINITY)





Hoy dos críticas de cine por el precio de una. La anterior, una película vista hace un par de años; la de ahora, un clásico visto (repasado) anoche. Y nos vamos al pasado. Roma, 6 de mayo de 1938. Adolf Hitler, Führer de la Nueva Alemania, ha llegado a Roma, tras un periplo en tren, del norte al sur. De un hermano a otro. Le han recibido el Duce de la Italia Imperial, Benito Mussolini, y el pequeño (mucho...) rey-emperador, Víctor Manuel III. Y podrá asistir a un desfile de las fuerzas armadas italianas. Y Roma le recibirá con los brazos abiertos. Tras un prólogo con imágenes de época, como si fuera la reproducción de un particular NO-DO, arranca la película en un edificio de la capital. Un edificio de estética moderna para la época, fascista diría incluso. Una mole impersonal, un  patio central, unas escaleras que son visibles tras unos enormes ventanales verticales. Son las primeras horas de la mañana. La portera extiende la bandera nazi por uno de los soportales del patio; luego hace lo propio con la alemana. La ocasión lo requiere. Visita de Estado. Y Roma se echará a las calles, toda ella, para saludar al líder alemán y para presumir de fuerzas armadas. Comienza el día. Una giornata particolare.
Antonietta Tiberi (Sophia Loren) es una madre de familia numerosa. Son las seis de la mañana. Empieza un día especial para los habitantes de Roma. Despierta a los hijos, uno a uno, finalmente al marido. La casa en esa mole impersonal es pequeña para tantos habitantes. Antonietta luce una bata, zapatillas de estar por casa. La familia desayuna y se viste para acudir a los fastos facistas en honor a Hitler. Todos se ponen las mejores galas, la camisa negra, empezando por el padre de familia, un tosco funcionario fascista. Todos salen de casa, el edificio se vacía. Todos se van, menos Antonietta y la portera, una bigotuda señora de la que más vale no fiarse. Y la casa por hacer... Antonietta no se ha vestido para salir. Una carrera en las medias. Hay que empezar las labores del hogar propias de toda mujer (fascista) italiana. La cocina, las camas, la comida. Da de comer al pájaro, Rosamunda, que apenas sabe pronunciar el nombre de su dueña (¡Atonetta, Atonetta!). Pero el pájaro se escapa cuando ella le cambia las pipas. Y sale al patio. Antonietta se desespera. Pero Rosamunda se queda al fondo, al lado de la ventana de uno de los pisos de la mole impersonal. Que está habitada, inexplicablemente ocupada por alguien en ese edificio en un día como ése. Ella le hace señales al hombre, Gabriele (Marcello Mastroianni); él no la ve, ocupado en una tarea que le enfurruña y que le hace tirarlo todo al suelo. Se oye el timbre de la puerta; reticente, acude a abrir. Es Antonietta. Comienza una giornata particolare.
Si decimos que el director de esta película es Ettore Scola y que está protagonizada por la gran pareja italiana cinematográfica de todos los tiempos, Sophia Loren y Marcello Mastroianni, decimos palabras mayores. Si añadimos que refleja de un modo fidedigno el día a día (o en este caso, un día en particular) de la Roma fascista, la Roma de los mejores años de Mussolini, cuando el eco del triunfo en Etopía sigue fresco y los desastres militares están por llegar, diremos una certeza. Porque la película es notablemente detallista en cuanto a ese fascismo asumido por los italianos en su vida cotidiana. Antonietta tiene un álbum en el que acumula fotografías del Duce, de una persona que un día se encontró cuando él iba a caballo, y cuya visión (y saludo impertérrito del capitoste) le provocaron un desmayo. Ella forma parte de esa masa de mujeres fascistas (o también podríamos decir alemanas) que idolatran al Duce (o al Führer). Pero su vida es anodina. Madre de familia numerosa, sin alegrías, sabiendo que su marido es un putero con más labia que talento (y además sin la suficiente maña como para ocultárselo a su esposa), que la vida, ay la vida, es como el desfile de las fuerzas armadas italianas en ese gran día en Roma: la ve pasar. Y se encuentra con Gabriele, un hombre triste, que sin embargo es capaz de dejarse llevar por encima de un patinete, que le regala Los tres mosqueteros, que finalmente le echa morro y le pregunta si no le va a ofrecer un café. Pero que no será su caballero andante rescatándola de esa torre, esa mole impersonal. Porque Gabriele oculta su desazón: locutor de radio despedido, deja entrever que le han echado por no ser la voz que busca el régimen fascista (la voz que entone con alegría los parabienes de la Nueva Italia). No, Gabriele ha sido despedido por homosexual. Es un depravado, un sovversivo, como le echa en cara todo el mundo, desde los que le echaron a la portera... e incluso Antonietta. Pero ambos personajes, no pueden evitar congeniar, más allá de la frialdad inicial, la mera cortesía; se atraen y se repelen, se buscan y finalmente se encuentran. ¿Se enamoran? Cuando el mundo, TU mundo se hunde, encuentras el amor en quien menos te lo esperas: Antonietta en el hombre sovversivo; Gabriele en una mujer que poco antes llamó obtusa. Todo sucede en una giornata particolare.
La película de Ettore Scola es una delicia... pero deja entrever esa amargura de quienes, o bien son meras marionetas del régimen, o bien han sido apartados por él. La amargura de Gabriele, cuya pareja ha sido recluida en Cerdeña. La amargura de Antonietta, que no es feliz, aun siendo la matrona romana casi perfecta. La amargura soterrada de un país que sale a la calle pero esconde en casa sus miserias. La portera pone la radio a todo volumen desde el patio y se escucha la retransmisión del desfile por las calles de Roma. Giovinezza, giovinezza, primavera di bellezza...; el Horst Wessel Lied, la canción nazi... las soflamas de Mussolini y Hitler... la voz del locutor narrando y describiendo el desfile de las diferentes armas del ejército italiano... se superpone por encima de Antonietta y Gabriele durante gran parte de la película, también una particolare banda sonora. Pero nada puede ahogar el silencio que, desde el interior de sus almas, sacan a la luz Antonietta y Gabriele. Nada puede apagar tampoco el fuego que les quema por dentro. Incluso cuando se pelean, ya sea recogiendo la colada en el terrado (¡qué escena!) o en casa de Gabriele. Porque, a pesar de todo, pueden compartir una tortilla. Y un poco de amor. Amor en dos seres incompatibles pero que se buscan y se encuentran.
Quizá no haya una película que recoja con tanto detalle ese fascismo cotidiano como Una giornata particolare. Y quizá no haya una pareja mejor que Sophia Loren y Marcello Mastroianni para interpretar a dos personas que viven su desarraigo interior. Dos personas a la deriva personal. El final no es feliz: Gabriele deja el edificio para ser confinado también en una isla; Antonietta, tras esta giornata particolare, vuelve a la rutina de una familia y un marido al que ahora ya no puede ver con los mismos ojos (cansados) de antes. No, le queda el libro de Dumas que Gabriele le dio. Y quizá esperanza. Y al espectador le queda el consuelo de que, a diferencia del régimen nazi, el fascista italiano fue bastante benigno con aquellos a los que confinaba o encarcelaba. Y quizá Gabriele se salvara. Y Antonietta, a su manera, también...
Oscar González
http://respvblicarestitvta.blogspot.com.ar/2012/09/critica-de-cine-una-giornata.html
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Le coppie nel cinema: Una giornata particolare
Il rapporto fra Antonietta (Sophia Loren) e Gabriele (Marcello Mastroianni) comincia e finisce in un giorno solo: il 6 maggio 1938, il giorno in cui Mussolini e Hitler si incontrano a Roma. Vivono entrambi in un grande condominio di quelli allora moderni, composti da diverse costruzioni alte che danno tutte su un cortile. All'ingresso c'è la portineria, che è una funzione di servizio, ma anche di controllo. La portinaia (Françoise Berd) tiene la radio condominiale al massimo volume in modo che tutti sentano la cronaca della radiosa giornata, fatta con voce scandita da Guido Notari. Di prima mattina il condominio - come tutta Roma - era in agitazione, tutti ad indossare divise, a raggrupparsi con bandiere e gagliardetti, ma adesso, se non fosse per la vociona di Notari, ci sarebbe un gran silenzio: praticamente tutti sono andati alla manifestazione, tranne la portinaia - occorre che qualcuno vigili - e pochi altri, fra cui Antonietta e Gabriele.
Antonietta, e siamo ancora di mattina, è stanca, ma ci è abituata: i lavori, sei figli da accudire fra grandi e piccoli, il marito Emanuele (John Vernon), che è il padrone di casa, in quanto unico percettore di reddito: fa l'usciere in un ministero. Ha una gabbia sul davanzale in cui tiene un merlo che vola via, ma si posa pochi metri in là su un altro davanzale. Antonietta si tranquillizza e va a suonare il campanello di quell'appartamento; non sa chi ci abita. Le apre Gabriele, che in quella mattina era messo peggio di Antonietta, perché l'hanno licenziato dall'Eiar, che era un ottimo lavoro, anche se Gabriele non ha la voce tonante di Notari; inoltre sa che in giornata lo verrà a prendere la polizia per scortarlo al confino in Sardegna. Il motivo non è politico, ma privato, perché Gabriele è omosessuale ed all'Eiar gente così non ci deve essere, e va punita con provvedimenti amministrativi, tipo il confino. Così li si allontana dagli amici, cosa che fa soffrire Gabriele, lo si capisce da una telefonata.
Gabriele non è fascista per cultura e per modi, ma il suo è un caso umano, non politico, è un problema di sopravvivenza, difatti, quando suona Antonietta sta pensando se non sia il caso di farla finita perché è solo, e sa che sempre più lo sarà in futuro. Il fatto stesso che una persona abbia bisogno del suo aiuto per recuparare un merlo e che glielo chieda per favore, lo predispone a favore: già è gentile di suo, lo è ancora di più visto il momento. Antonietta apprezza, si trova di fronte ad una persona a cui non è abituata, sempre alle prese fra le richieste dei figli e gli ordini privi di garbo del marito. Però finisce lì, anche perché Gabriele le dà del lei invece del voi regolamentare.
Antonietta torna in casa, ma è Gabriele a farsi vivo, di compagnia ha bisogno come del pane, in un giorno così difficile. Le porta "I tre moschettieri" di Dumas perchè lo legga, Antonietta rimane sorpresa, e credendo di fargli un piacere, gli mostra un suo diario con le fotografie e con i motti del Duce. Si potrebbe dire che Antonietta è fascista: certo che lo è, ma di tipo diverso dalla portinaia spiona a libro paga perché tutto si svolga come vogliono quelli che stanno sopra: una così, veramente fascista, una roba come il diario di Antonietta non si sognerebbe mai di farla, è una roba gratis, e la portinaia non crede alle robe gratis. Però Gabriele non la vede così, e ironizza sul diario, le foto e i motti. Lo fa leggermente, ma Antonietta se ne accorge, e ci si aggiunge che la portinaia sparla di Gabriele dicendo che è un sovversivo.
Quindi cala il freddo, ma le due solitudini hanno troppo bisogno l'una dell'altra, e si ritrovano a stendere i panni sul terrazzo in cima al condominio. Antonietta è quella che fa il passo di abbracciarlo, il confronto con quell'animalone che si trova in casa è troppo a favore di Gabriele, che si ribella e le dice in faccia che è pederasta, prendendosi uno schiaffo.
Ma Antonietta, in poco tempo, ha scoperto cose che non sapeva: la gentilezza, la finezza, anche la bellezza, perché Gabriele è bello, anche lei lo era, e si ricorda come piaceva agli uomini. E' quasi un suo puntiglio quello di prendersi Gabriele e ci riesce, anche se lui la prima cosa che le dice dopo è: "Sì, ma questo non cambia niente". Tutto, ha cambiato. Cosa è mai il sesso di dieci minuti rispetto al fatto che i due si sono conosciuti per come sono fatti dentro, ed hanno saputo volersi bene pur senza avere nessun futuro davanti? E' che tutti e due credevano di essere a terra, ma hanno scoperto che anche nella situazione più amara c'è la possibilità di voler bene, e quella - ancora più difficile da ammettere - di essere voluti bene. Ma non c'è bisogno di scambiarsi parole, di ricamarci su, tanto il tempo ormai è scaduto.
Stanno tornando tutti dalla radiosa giornata, Gabriele torna nel suo appartamento ad attendere gli eventi ed a fare la valigia. Antonietta lo vedrà andar via dopo un po' con due poliziotti in borghese. In casa sua c'è un gran chiasso fra i figli e il marito, che si sente il Duce di casa, benevolo però, tanto da dire ad Antonietta che per festeggiare a notte faranno il settimo figlio. Antonietta dovrebbe essere contenta, le altre radiose giornate Emanuele per festeggiare andava in casino vantandosene, ma non è contenta, senza però darlo a vedere. Andrà in camera dal Duce di casa, ma un po' più tardi del solito: prima ha voluto leggersi qualche pagina de "I tre moschettieri" lasciatole da Gabriele. Credo che continuerà a leggerlo, quel libro così tosto le piacerà di più che accudire il diario del Duce.
P.S. Ho imparato tre cose che non sapevo, durante la ricerca di informazioni sul film.
La prima è che nel 1938 le donne impiegate nella pubblica amministrazione non potevano essere più del 5% del totale degli impiegati.
La seconda è che la tassa sul celibato non era uno scherzo: veniva trattenuto un quarto dello stipendio.
La terza è che fu in discussione in quegli anni una legge ad hoc per punire la pederastìa. Non se ne fece niente perché si preferì adottare provvedimenti amministrativi (per comportamenti socialmente pericolosi et similia) equivalenti a quelli che ci sarebbero stati nella legge. Il motivo fu che la pederastìa in Italia non doveva esistere, quindi non esisteva.
http://abbracciepopcorn.blogspot.com.ar/search?q=una+giornata


"Una giornata particolare", di Ettore Scola del 1977. Bellissima interpretazione del film con Marcello Mastroianni e Sophia Loren, coppia che ritroveremo lavorare insieme in tanti altri film. Nel cast possiamo ricordare anche la giovanissima Alessandra Mussolini, nipote di Benito Mussolini.
E’ il 6  Marzo 1938, giornata memorabile, ultimo giorno del fuhrer a Roma. In un edificio popolare, simile a un casermone, è già stata appesa a festa la grande bandiera rossa con disegnata la svastica.
Tutti si stanno preparando in alta uniforme per andare a sentire il discorso che il fuhrer terrà in piazza dei Fori Imperiali. Il condominio ormai era deserto, la portiera era pronta con la sua radio a sintonizzarsi per ascoltare anche lei il discorso.
Soli nel condominio rimarranno una casalinga, Antonietta Tiberi (Loren), frustrata dal marito con sei figli, e un ex annunciatore della radio, Gabriele (Mastroianni), cacciato via dalla radio perché omosessuale.
Antonietta conoscerà  Gabriele, mai conosciuto prima d’ora, andando a recuperare la sua pappagallina, finita nel balcone del suo vicino
Per Gabriele l’arrivo a casa sua di quella donna sarà una fortuna datosi che stava per compiere un insano gesto. Il suo lavoro ormai era quello assegnatogli da un ente pubblicitario di trascrivere gli indirizzi su delle buste. Aveva un amico, deportato a Olbia, omosessuale come lui, con il quale ogni tanto durante lo sconforto parava la telefono.
Da quell’incontro, tra i due nascerà un colpo di fulmine alternato da momenti di amore, da litigi pesanti come la scena di quando vanno in terrazza a ritirare i panni e lei scopre dopo un bacio che era omosessuale e la finiscono a urla nel pianerottolo, di confidenze e di disavventure amorose.
Però ahimè  il loro colpo di fulmine finirà presto quando tutti rincaseranno dalla giornata memorabile. Antonietta tornerà a combattere le vicende quotidiane di gestione della casa, marito e figli e Gabriele aspetterà il momento che delle persone andranno a prenderlo per portarlo al treno che lo condurrà via da Roma.
Ad accompagnarci in tutto il film sarà la radio della portiera che ascolta il discorso del fuhrer.
Questo film è  un classico esempio di come un regime, come quello nazista, possa imporre alle persone leggi crudeli, razziali e costringa le persone ad essere quello che non vogliono essere.
Lo stesso Scola ne dà esempio in tutti i suoi film, concretizzandosi in qualche avvenimento o fatto storico che sta al di sopra le parti e che esse possono solo adeguarsi senza poter fare niente perchè ciò non accada.
I nostri due personaggi, prima di incontrarsi si sentivano esclusi, frustrati con anche poca voglia di vivere, invece il loro incontro si è tradotto in “ una giornata particolare”.
L’intero film è stato girato all’interno di un condominio popolare, condominio che ritroveremo uguale a distanza di diciasette anni più avanti da “Una giornata particolare”, nel film “Romanzo di un giovane povero” con il mitico Albertone.
La musica e le colonne sonore danno sempre un tocco di classe al film. Infatti in  "Una giornata particolare" si sentono durante vari momenti del film lo strimpellare di un pianoforte che intona la canzone “ Aranci” di cui esiste peraltro una interpretazione della stessa, di Wilma de Angelis.
http://www.cinemecum.it/newsite/index.php?option=com_content&view=article&id=1900:quna-giornata-particolareq-di-ettore-scola&catid=130:cinema-e-il-bianco-e-nero&Itemid=426
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Ese día el Gran Hermano también se fue al desfile…
… y dejó a solas a Mastroniani y a Loren.
El encontronazo entre ambos es un momento culminante en el sinsentido de sus vidas. Apenas unas horas, mientras nos radian la retórica del discurso fascista en las calles de Roma, la pareja escapa a la cerrazón del régimen, a la opresión que se respira fuera de ese edificio que les sirve de refugio. El inmueble que se hace cómplice de sus confesiones, frustraciones existenciales, abusos maritales, orientaciones sexuales.
La película, magistralmente interpretada por estos dos grandes, con una Loren abatida y en bata, de zapatillas rotas, cabello descuidado y un Marcelo impecable pero deprimido, guasón pero destronado de su propia vida, es una apuesta por internarse en la psicología de una mujer que acepta lo que le ha venido dado, sin posibilidad de renuncia o siquiera escarceo hasta el momento en que conoce al vecino homosexual amante de las novelas de Alexandre Dumas. Él, encuentra en esa mujer madre de seis hijos, esclava marital, ignorante, rendida a los encantos de Mussolini a su confidente. A la única persona en el mundo que será capaz de comprender cuáles son sus ansias, cuál su indolencia, dejadez, apatía.
El único momento en sus vidas en que se han recuperado el uno al otro, en que han vuelto a ser ellos mismos, en que han sido libres. En el que dos completos desconocidos empatizan al grado de salvarse el uno al otro.
Hitler y Mussolini en las calles, arrastrando a la muchedumbre, han dejado por una jornada particular, que dos personas recuperen y vivan las únicas horas de libertad de sus anodinas vidas.
Sin duda lo mejor de esta magistral película es el logro de esa atmósfera asfixiante que se cuela de la calle al inmueble y a través de las ondas y los megáfonos que radian el desfile de cuando Adolf, encontró a Benito. Además de las sublimes interpretaciones, en especial de Sofía. El momento sublime, el baile bajo las sábanas rotas en la terraza. El momento culminante, esa tortilla compartida.
Qué poco hace falta para convertir una película en una obra maestra que rinde homenaje a algo tan grande como escaso: la libertad.
Haciendo alusión a la crítica de Pas, que os gustará; amigo: yo no me avergonzaría de ser italiana. Al contrario, me enorgullecería de que Ettore Escola haya impartido una clase magistral sobre la idisincrasia de su propio pueblo. Qué buena es la autocrítica y qué poco la valoramos en este país en el que no nos aguantamos los unos a los otros.
Cuando llegue el día en que una película denuncie lo que Franco hizo en su Patria, sin demagogias, sin rojos y fascistas a la gresca, sin escatológicos momentos como los de Berlanga en “La Vaquilla” (único cineasta digno de obrar el milagro, por cierto) quizás en ese momento, puede ser, llegue sentir algo de eso que Escola consiguió para Italia, con esta obra maestra y para su redención: orgullo.
Muy recomendable, primero para Berlusconi; luego, para todos vosotros.
Valkiria
http://www.filmaffinity.com/es/reviews/1/655985.html

sábado, 23 de febrero de 2013

Notte d'estate con profilo greco, occhi a mandorla e odore di basilico - Lina Wertmüller (1986)


TÍTULO ORIGINAL Notte d'estate con profilo greco, occhi a mandorla e odore di basilico 
AÑO 1986 
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Español e Inglés (Separados)
DURACIÓN 94 min. 
DIRECTOR Lina Wertmüller
GUIÓN Lina Wertmüller
MÚSICA Pino D'Angiò
FOTOGRAFÍA Camillo Bazzoni
REPARTO Mariangela Melato, Michele Placido, Roberto Herlitzka, Massimo Wertmüller 
PRODUCTORA A.M.A. Film / Leone Film / Medusa Produzione 
GÉNERO Comedia 

SINOPSIS Una mujer, tan extraña como rica, secuestra a un mafioso siciliano y lo mantiene en cautiverio (aunque bien atendido) para cobrar por su rescate. (FILMAFFINITY)





Trama
Una facoltosa e scatenata donna-manager lombarda, Fulvia Block, rapisce Beppe Acireale, un irsuto siculo-sardo specialista in sequestri, e lo tiene in catene in attesa del vertiginoso riscatto preteso (100 miliardi). L'intraprendente signora finisce però con accendersi di desiderio per il selvaggio prigioniero, sorvegliato a vista da un'implacabile telecamera, riducendosi a trascorrere con lui - incatenato e bendato - un'intera notte di sfrenata passione. Estorto infine il riscatto, mentre Fulvia si complimenta del successo con Turi Cantalamessa, il suo imbranato aiutante ex agente CIA, l'automobile su cui viaggia viene repentinamente agganciata da un carro attrezzi: è il contro-rapimento ideato dal bandito, di cui la donna, dopo la furiosa esperienza passionale della notte d'estate, cade ora volentieri in balia, accettando di variare nei soli dettagli lo spregiudicato gioco delle parti.


Critica
"La nota stilistica più evidente è data dalla lunghezza del titolo. Per il resto un'idea di partenza niente male non adeguatamente sviluppata. Si potrà anche vedere." (Magazine tv)

"Commedia verbosa e frenetica che gira a vuoto per la palese inverosimiglianza dei personaggi, la sgangherata costruzione narrativa, la mancanza di gusto e di leggerezza. La Melato cambia una trentina di abiti di Valentino." (Telesette)