ESPACIO DE HOMENAJE Y DIFUSION DEL CINE ITALIANO DE TODOS LOS TIEMPOS



Si alguién piensa o cree que algún material vulnera los derechos de autor y es el propietario o el gestor de esos derechos, póngase en contacto a través del correo electrónico y procederé a su retiro.




miércoles, 20 de febrero de 2013

I Sovversivi - Paolo e Vittorio Taviani (1967)



TITULO ORIGINAL I sovversivi
AÑO 1967
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Español, italiano e inglés (Separados)
DURACION 96 min.
DIRECCION Paolo y Vittorio Taviani
GUION Vittorio y Paolo Taviani
REPARTO Maria Cumani Quasimodo, Lucio Dalla, Ferruccio De Ceresa, Fabienne Fabre, Lidija Juracik, José Torres, Raffaele Tiggia, Marija Tocinowsky, Paolo Zamattio, Barbara Pilavin, Luigi Scavran, Vittorio Taviani, Vittorio Duse, Luciana Galli, Pier Annibale Danovi, Filippo De Luigi, Piero Anchisi, Giorgio Arlorio, Nando Angelini, Angelo Barcella
FOTOGRAFIA Giovanni Narzisi, Giuseppe Ruzzolini
MONTAJE Franco Taviani
MUSICA Giovanni Fusco
PRODUCCION Giuliani G. De Negri para Ager Film
GENERO Drama

SINOPSIS Sullo sfondo dei funerali di Togliatti quattro storie di militanza comunista: un regista lascia il cinema per andare in giro per il mondo in cerca di contatti più diretti con la realtà e con gli uomini; un esule venezuelano torna al suo paese per prendere il posto di un compagno ucciso dai governativi; un funzionario del Pci entra in crisi con la moglie; un filosofo si dà alla fotografia e si rivela anticonformista e individualista. (Film Scoop)







Film epocale che documenta e anticipa buona parte delle pulsioni politiche del decennio successivo. Fotografate ancora in stato embrionale, con un tempismo ed una precisione prodigiosa, nel loro lento e incessante prender forma.

Tre storie si incrociano a Roma il giorno del funerale di Togliatti: quella di Ludovico, giovane rivoluzionario sudamericano in procinto di unirsi ai guerriglieri venezuelani, quella dell'apprendista fotografo Ermanno (interpretato da un superlativo Lucio Dalla: straordinario mattatore mancato del cinema italiano) e di Giovanna, donna spaesata e moglie insicura, colta nell'improvviso e dolce manifestarsi della sua omosessualità.
Film importante - una lezione di racconto e regia - una pellicola letteralmente epocale che documenta e anticipa buona parte delle pulsioni politiche del decennio successivo: il senso di vuoto seguito alla scomparsa di determinati schemi ideologici, la conseguente elaborazione del lutto, il primo sbocciare delle spinte rivoluzionarie - qui fotografate ancora in stato embrionale, con un tempismo ed una precisione prodigiosa, nel loro lento e incessante prender forma – e poi l'affiorare di quella sensazione di inappartenenza e di disagio civile che negli anni a venire avrebbe portato ai noti scontri intestini della vita politica italiana. La quarta opera dei fratelli Taviani è un film lugubre, doloroso, ma al contempo di straordinaria energia visiva, attraversato dalle correnti di una nouvelle vague politico-morale in avvicinamento e costruito sulle icone di una neo-simbologia laica ancora in via di formazione. Riuscita rappresentazione cinematografica di uno smarrimento ideologico che diviene smarrimento di sguardo, vitale perdita di omogeneità, fertile destrutturazione narrativa.
http://www.sentieriselvaggi.it/16/26771/DVD_-_I_Sovversivi,_di_Paolo_e_Vittorio_Taviani.htm
---
I sovversivi: alla ricerca di un centro di gravità permanente
Essendomi già espresso di recente sul cinema dei fratelli Taviani, non tornerò sull’argomento, rimandandovi invece alla mia recensione di “Sotto il segno dello scorpione”. “I sovversivi”, del resto, non si discosta molto da quanto detto allora. Certo, questo è precedente di due anni, (si tratta infatti del primo film girato in autonomia totale dai Taviani bros. dopo la collaborazione con Joris Ivens prima e Valentino Orsini poi) ma già contiene tutti gli elementi della loro poetica. Innanzitutto, la scelta di un tema forte, centrale, con il quale confrontarsi e far confrontare i personaggi delle loro storie. Mentre nello scorpione era lo scontro, la rivoluzione, qui l’argomento intorno al quale ruotano le vicende dei protagonisti è l’instabilità, la transitorietà, la perdita di certezze, di un punto di riferimento, soprattutto maschile e paterno. Avete presente la scena de “L’impero colpisce ancora”, quando Darth Vader, dopo avere tagliato una mano a Luke tanto per sicurezza, gli dice: “Io sono tuo padre”? Beh, ecco, una cosa simile, solo che nel film dei Taviani non ci sono spade laser, morti nere o Millenium Falcon pilotati da cani pelosi alti due metri. Ah, non c’è nemmeno il colore.
La trama, questa volta quadrupla, come sono quattro le storie che compongono questo film. Il fil rouge è il funerale di Palmiro Togliatti, il “Migliore”, amichetto di Stalin e segretario del PCI per 256 anni consecutivi. Si è a Roma, nell’agosto del 1964, e fa un caldo bestiale, infatti una cosa che hanno in comune tutti i protagonisti sono le ascelle pezzate. Le storie, come dicevo, sono quattro: 1) Ermanno (interpretato da Lucio Dalla) e Muzio sono due fotografi che vanno a realizzare un reportage sul funerale del lìder maximo de ‘noantri. Muzio è sposato con un figlio, ed è quietamente felice; Ermanno è inquieto, in cerca di una realizzazione personale, in conflitto con i genitori – che però lo mantengono, umiliandolo silenziosamente – e sposato a una donna molto più grande. 2) Sebastiano è un funzionario del PCI piuttosto grigiastro. Va a Roma con la moglie Paola che, ospitata da un’amica comune, scopre di preferire la pisella al pisello. E come darle torto? 3) Ettore è un esule politico venezuelano che, in seguito alla morte del capo carismatico della rivoluzione che si sta consumando in patria, viene chiamato a tornare nel suo paese per raccoglierne l’eredità. Quello che gli scoccia di più di lasciare l’Italia è abbandonare la fidanzata minorenne e i bucatini all’amatriciana. 4) L’anzianotto regista Ludovico scopre di essere malato e soggetto a misteriosi attacchi di mammite mentre sta girando un film su Leonardo da Vinci in spiaggia.
Tutti i numerosi personaggi di cui sopra, come dicevamo in apertura di recensione, hanno una caratteristica in comune: la perdita di un riferimento certo, sicuro. Il fatto che le loro storie si intreccino al funerale di Togliatti, la cui morte, dopo anni di protagonismo politico, lasciò assai scossa l’Italia, e non solo, non è ovviamente casuale, anzi, rappresenta, se vogliamo, un quinto filone narrativo, nel quale a rimanere priva di una guida matura e paterna è, se non l’intero popolo italiano, almeno l’allora vastissima fetta di popolazione di fede comunista. Nel dettaglio delle quattro storie, la più interessante delle quali è quella che vede protagonista Lucio Dalla, lo stesso capita ai rispettivi protagonisti che, di colpo, si trovano di fronte a una perdita di identità, di valori, di certezze. Ermanno è giovane, geniale (almeno questo è quanto dice di sé stesso), indeciso su cosa fare nella vita. L’unica cosa che sa, parafrasando Montale, è ciò che non è, ciò che non vuole. E, chiaramente, non vuole diventare grande. L’aver sposato una donna più vecchia, infatti, lo fa sentire giovane; il contrasto con Muzio, tradizionale, sposato e già padre, lo fa sentire alternativo; il rifiuto di onorare la memoria del grande vecchio Togliatti lo fa sentire trasgressivo. Ma la sua è una fuga verso dove, non si sa. Non è un fotografo, non è un insegnante, non vuole fare carriera accademica, non è marito (è più amante, oggi si direbbe toy-boy) né padre. Privo di un riferimento paterno, non è in grado di sostituirlo egli stesso. Se dal caos riuscirà a generare una stella danzante, non è dato sapere.
Sebastiano, il funzionario di partito, già scosso dalla perdita del suo riferimento politico, scopre di non essere più nemmeno in grado di rappresentare, per la moglie, un riferimento maschile. Non è più uomo (o non abbastanza da trattenere a sé la moglie) ma non è abbastanza “donna” da capire che il tempo del maschio tradizionale sta tramontando. Gira su sé stesso in una segreteria politica della quale comunque sembra poco protagonista, scopre la moglie a letto con una bionda e cerca di convincersi che le due abbiano solo organizzato un brutto scherzo ai suoi danni. È un uomo in bilico, ritrovatosi privo in poche ore sia del riferimento politico/paterno che di quello familiare. Vorrebbe risolvere tutto da maschio (“Facciamo un figlio”, dice alla moglie a un certo punto), ma non ha più gli strumenti per affrontare un mondo che, di lì a poco sarebbe esploso nel ’68. Ettore, invece, è un vero uomo, sia a letto che con gli amici esuli venezuelani, con i quali fa la bella vita a Roma. Però non lo è abbastanza per tornare in patria a combattere per la rivoluzione. “Io non voglio mica finire così”, dice a un certo punto commentando la foto sul giornale del cadavere del suo predecessore, incatenato e torturato dalla dittatura. Il suo stagno gli è comodo, ed è facile fare lo sborone mandando a ‘fanculo la madre della fidanzatina italiana con cui divide il letto. Ma tornare in patria fa paura, e se alla fine ci torna, evidentemente controvoglia (è l’ultimo a salire sull’aereo), è forse perché rimanere in Italia, sposarsi con Giovanna e imborghesirsi gli fa ancora più paura. Salta nel burrone, ma gli ci vuole una bella spinta per farlo. L’impressione è che, comunque, dietro una facciata di sicumera, si nasconda parecchia incertezza.
Ludovico, l’anziano e affermato regista, è invece un punto di riferimento per la sua troupe e in particolare per il suo aiuto. Peccato che, non appena la malattia fa vedere i suoi segni, siano tutti pronti a farlo fuori per prendere il suo posto. Ancora dipendente dall’anziana madre, Ludovico scopre allora che essere un riferimento non è duraturo, e che, come diceva la maglietta preferita di Axl Rose, “Kill your idol”, a volte, non è solo un vuoto slogan. Allora cerca di recuperare terreno, di essere autoritario, ma la fine è vicina, la discesa è ripida, la fine inevitabile. Tutti siamo destinati a cadere, simboli, leader, capi, e pure i registi, anche se intelligenti e affermati.
“I sovversivi”, per concludere, è un bel film, un film importante, interessante, attuale (esiste forse un’epoca con meno riferimenti di quella che stiamo vivendo oggi?). Difficile, anche, certo, come tutti i film dei Taviani, ma ricco di stimoli e anche di riferimenti culturali e sociali, ancor prima che cinematografici, che varrebbe la pena non perdere. Anche limitandosi al solo l’aspetto documentaristico (le immagini di repertorio del funerale girate dagli stessi Taviani in vista di una produzione successiva) la visione è comunque meritevole. Il cast è buono, la fotografia estiva, solare. Se una cosa spicca su tutte è l’interpretazione di Dalla. Ero scettico, lo ammetto, soprattutto sull’onda della commozione per la sua scomparsa, e invece il peloso bolognese è in gamba, fresco, semplice, efficace, poetico, disperato. La sua recitazione, si vede, non è accademica, è sincera messa in scena di sé stesso. Fortunatamente per noi, alla fine, e fino alla fine, Lucio la sua strada l’ha poi trovata.
Sergio
http://cinescherno.com/2012/03/29/i-sovversivi-alla-ricerca-di-un-centro-di-gravita-permanente/


Oltre il Neorealismo
Paolo e Vittorio Taviani vengono incaricati dal PCI (insieme ai colleghi Francesco Maselli, Valerio Zurlini, Carlo Lizzani e Nanni Loy) di filmare i funerali del leader scomparso. «Fu forse durante quelle ore di riprese, in quel clima tra luttuoso e festaiolo, al seguito della bara di Togliatti, che cominciammo a pensare a Sovversivi». I due fratelli toscani, esattamente come Ermanno (Lucio Dalla) e Muzio (Pier Paolo Capponi) nel film con il loro servizio fotografico, sfruttano l’occasione di quel lavoro su commissione per realizzare un’opera molto personale, nella quale mescolano con straordinaria abilità i materiali documentari con brani recitati. Questa commistione tra attualità e finzione, unita all’impostazione decisamente militante, segna il definitivo allontanamento dalle modalità rappresentative del Neorealismo.
Si potrebbe sostenere che Sovversivi inauguri la stagione del “cinema politico” in Italia, segnando l’inizio di un filone destinato da quel momento in avanti a celebrare il suo successo attraverso tutta una serie di titoli miliardari (sia per costi di produzione che per incassi), da Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto a Novecento. Tutte pellicole che pur trattando di Marx, di comunismo, di rivoluzione, dimostrano la difficoltà di adeguare il linguaggio visivo ai nuovi temi, di uscire dalla ripetizione di modelli espressivi ormai inadatti e d’impostare quindi un rapporto diverso con lo spettatore, liberandolo da una condizione di perenne passività. La forza dei fratelli Taviani consiste invece nella capacità di dar vita a un film comportamentale, non ideologico, in cui la politica scaturisce direttamente dalla personalità e dai gesti dei protagonisti grazie a uno stile rapido, asintattico, ritmato sull’efficacissima colonna sonora di Giovanni Fusco.
La presenza del personaggio di Ludovico (Ferruccio De Ceresa), il regista, segna inoltre l’esistenza all’interno del testo di un elemento metalinguistico. Gli autori mettono direttamente in scena il loro mestiere e si pongono il problema del ruolo dell’artista rispetto al proprio contesto storico. Il soggetto a cui Ludovico sta lavorando, per molti versi simile a quelli dei Taviani, è apparentemente tradizionale (una biografia di Leonardo da Vinci), ma nell’arco della narrazione si trasforma a causa dell’influenza dei fattori esterni (esemplare in tal senso è la sequenza della veglia funebre del regista accanto alla bara di Togliatti, durante la quale rivede e corregge mentalmente la scena che girerà il giorno dopo). Si convince insomma, e con lui i Taviani, che l’intellettuale non può operare restando completamente avulso dalla realtà che lo circonda, ma deve al contrario, come dice all’attore che interpreta Leonardo, «andare in giro tra gli uomini».
http://www.cliomediaofficina.it/cinemaesessantotto/index.php?page_id=206
***
Soffia il vento
Nell’analizzare un film come Sovversivi occorre considerare che è ambientato nel 1964, ma è realizzato nel 1967, e quindi i fatti dell’agosto di tre anni prima vengono rivisitati alla luce di una mutata mentalità, pronta a incarnarsi, nel giro di pochi mesi e a livello italiano e internazionale, nel Sessantotto. I prodromi di tale nuova visione del mondo sono ben rintracciabili nell’agire di Giulia (Marija Tocinowsky), Ermanno (Lucio Dalla), Ettore (Giulio Brogi) e Ludovico (Ferruccio De Ceresa), individui differenti per età ed esperienze di vita, ma accomunati, più che dall’appartenenza politica, da un’intima insofferenza nei confronti di una sinistra ufficiale totalmente appagata dall’equilibrio pacificante raggiunto e dunque scleroticamente imborghesitasi. Il loro tormentato stato d’animo è ben descritto dagli stessi fratelli Taviani, quando ricordano: «Si stava soffocando. La vita politica - e culturale, e privata - stagnava: mancava una direttrice unica, che convogliasse energie, desideri, odi. Tutto pareva già fatto e già detto. (…) Non volevamo soffocare. Sentivamo il bisogno, fisiologico prima di tutto, di rompere con quello pseudo-equilibrio».
I quattro tentano dunque, ognuno a modo suo, di far saltare questa quiete apparente, meritandosi l’attributo di sovversivi (il titolo va infatti inteso come aggettivo e non come sostantivo), vale a dire soggetti che si prefiggono il compito di sconvolgere completamente lo stato delle cose.
Trasferendo la loro carica rivoluzionaria dal piano ideologico a quello privato, maturano, parallelamente gli uni agli altri, scelte urgenti e cruciali per le rispettive esistenze. Si tratta peraltro di decisioni che anticipano alcuni dei principali motivi di discussione e di scontro nel periodo immediatamente successivo, segnato dall’esplosione della contestazione giovanile: basti pensare, per esempio, a Giulia, che si risolve ad accettare la sua attrazione per le donne, e al tema della liberazione sessuale. Così come il comportamento di Ermanno di fronte all’autorità paterna - in realtà un atteggiamento doppio: ambiguo con il padre biologico da cui continua a dipendere economicamente, aggressivo con il padre politico, di fronte alla bara del quale prorompe in un «Era l’ora!» che provoca l’indignata reazione dei presenti – pone il problema dell’emancipazione dalla famiglia. Lo stesso Ermanno, il personaggio più amato dai registi anche per i fitti riferimenti autobiografici, rappresenta, con i suoi ventitre anni e il suo carattere tumultuoso e spesso inconcludente, il sessantottino ante litteram.
Le prese di posizione di Giulia, Ermanno, Ettore e Ludovico, seppure espressione di un comune modo di sentire, costituiscono ancora dei gesti isolati, frutto esclusivamente della forza di volontà dei singoli. La loro determinazione risulta tuttavia assolutamente fondamentale per smuovere l’atmosfera sonnecchiante del momento storico in cui vivono e creare le condizioni favorevoli affinché si attui il passaggio da una dimensione personale della contestazione a un vero e proprio movimento di massa.
http://www.cliomediaofficina.it/cinemaesessantotto/index.php?page_id=205

No hay comentarios:

Publicar un comentario