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jueves, 14 de marzo de 2013

Pontormo - Un amore eretico - Giovanni Fago (2004)


TITULO ORIGINAL Pontormo, un amore eretico
AÑO 2004
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS No
DURACION 97 min.
DIRECCION Fago Giovanni
ARGUMENTO Marilisa Calò, Massimo Felisatti, basado sobre algunas páginas de los diarios de Jacopo Carrucci llamado "Pontormo"
GUION Marilisa Calò, Massimo Felisatti, Giovanni Fago
FOTOGRAFIA Alessio Gelsini
MUSICA Pino Donaggio
MONTAJE Giancarlo Cerciosimo
ESCENOGRAFIA Amedeo Fago
VESTUARIO Lia Morandini
REPARTO Joe Mantegna (Pontormo), Galatea Ranzi (Anna), Sandro Lombardi (Anselmo), Toni Bertorelli (Priore San Lorenzo), Laurent Terzieff (Inquisitore), Massimo Wertmuller (Bronzino), Andy Luot-to (Mastro Rossino), Alberto Bognanni (Cosimo I), Giacinto Palmarini (Battista), Vern-on Dobtcheff (Riccio), Lea Karen Gramsrdoff (moglie di Bronzino)
PRODUCCION Star Plex, Palamo Film

SINOPSIS La storia del pittore Jacopo Pontorno e del suo rapporto con Anna, una tessitrice muta, al tempo della Firenze medicea. (Film Scoop)





Trama: 
Nella Firenze del ‘500 il pittore Jacopo Carrucci, detto il Pontormo, lotta per difendere dall’accusa di stregoneria la sua musa ispiratrice, Anna, una ragazza fiamminga cui durante la Guerra della Fiandre è stata tagliata la lingua. Ora l’accusano di aver ucciso il sorvegliante dell’arazzeria dove lavora, che ha provocato la morte di un bambino cui lei era molto legata. Pontormo, che ormai ha sessantuno anni e si sente vicino alla morte, decide di esporsi e testimoniare in favore della donna cui tutti sono ostili, in realtà, perchè la sentono straniera. Ma anche lui ormai si sente estraneo in un momento in cui la signoria sta morendo e nascono gli stati nazionali, il Concilio di Trento vede il confronto tra Riforma e Controriforma e l’uomo, che nel Rinascimento era al centro dell’universo, è oppresso dalle guerre.

Critica (1): 
Finalmente un film che, raccontando di un grande pittore, anziché perdersi nell’aneddotica mondana si concentra sull’arte, sul lavoro, sulla pittura. Pontormo di Giovanni Fago guarda all’ultimo tempo della vita di Jacopo Carucci detto il Pontormo, meraviglioso manierista cinquecentesco toscano al servizio del duca Cosimo de’ Medici: un periodo dominato dall’ansia di non arrivare a completare gli affreschi in San Lorenzo a Firenze (poi andati perduti), ai quali lavorava dal 1546 e continuò a lavorare sino alla morte av-venuta nel 1556. Altri elementi segnano l’esistenza del pittore in quel periodo: il legame con una giovane donna fiamminga rimasta muta dopo il taglio della lingua subìto durante la guerra delle Fiandre, e-sule e straniera a Firenze dove viene arre-stata e processata per stregoneria; il conflitto durissimo con l’Inquisizione; i molti malesseri fisici registrati pure nel diario; i rapporti mai semplici con il committente; la difesa acerrima della sua opera, che non intende mostrare a nessuno (neppure al duca, tanto meno all’Inquisitore) prima del definitivo completamento. Quest’uomo irriducibile e forte, appartato, silenzioso, parco, lavora sempre; frequenta soltanto l’amico Bronzino, l’assistente (Giacomo Palmarini) o il preparatore dei colori che è l’ammirevole Sandro Lombardi; s’allontana da casa o dal luogo del lavoro soltanto per andare a ritrarre disegnando annegati o teatranti alla cui fisionomia la morte violenta o l’artificio mestierante imprimevano quell’alterazione anticlassica che sarà un segno d’innovazione della sua arte. Pontormo soffre della vecchiaia e del mutare dei tempi, della crisi politica che prepara la fine delle Signorie e dei Principati, della crisi religiosa che rende intolleranti i comportamenti della Chiesa cattolica allarmata dall’eresia: Joe Mantegna interpreta il personaggio con dignità accorata, con pacato dolore, e dà un contributo importante al film un poco scolastico, molto interessante.
Lietta Tornabuoni, La Stampa, 27/5/2004

Critica (2): 
Tipico esempio di biopic all’italiana, Pontormo risponde agli intenti di u-n’onesta divulgazione e paga un prezzo accettabile ai superflui addobbi etico-politici che dovrebbero imprimere la sigla dell’autore. Non capita tanto spesso che una produzione autarchica riesca a giustificare il suo budget con la dignità dell’impaginazione: fotografia, scenografie e costumi, in effetti, riescono in qualche modo a colmare i vuoti di una sceneggiatura didascalica e a moderare i pieni di una regia enfatica. Gli ultimi mesi di vita del pittore Jacopo Carrucci detto il Pontormo, ricostruiti a partire dai diari, pongono al centro del film il platonico rapporto sbocciato nella Firenze rinascimentale tra l’artista e la sua musa ispiratrice, una giovane fiamminga a cui, nel corso della Guerra delle Fiandre, è stata tagliata la lingua. Una vicenda inventata, eppure plausibile perché l’arazzeria medicea fu realmente allestita con la supervisione degli esuli luterani: l’«eretica» Anna viene accusata di stregoneria perché il suo omicidio difensivo di un sorvegliante dell’arazzeria del duca avrebbe scatenato la vendetta di Dio sotto forma di un’epidemia di peste.
Pontormo prende coscienza dell’ingiustizia che sta per abbattersi sulla straniera portatrice di una cultura e una religione diverse e, anche perché sente la morte avvicinarsi, decide di scendere in campo – come cittadino nonché pittore di corte onusto di fama internazionale – testimoniando in suo favore davanti all’Inquisizione. Alla vicenda, ricalcata secondo gli smaccati dettami del politicamente corretto, s’intreccia il più intrigante leitmotiv del «Giudizio Universale» affrescato nel Coro di San Lorenzo, l’opera più ambiziosa del Pontormo rimasta incompiuta, ultimata dal collega Bronzino e infine distrutta nel 1738, lasciandoci solo qualche disegno preparatorio. Il regista Giovanni Fago, non a caso habitué del film TV (La vita di Rossini, Don Luigi Sturzo, La freccia nel fianco), più che la rilettura storica, rende credibile il pathos di una buona compagnia d’attori.
Valerio Caprara, Il Mattino, 29 /5/2004
http://www.municipio.re.it/cinema/catfilm.nsf/PES_PerTitoloRB/BF6D57FCC49D8059C125742E004A47AF?opendocument
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Nel 1494 nasce nel borgo di Pontorme Jacopo Carrucci che, venuto a Firenze, frequenta le botteghe di Leonardo, di Piero di Cosimo e Andrea del Sarto. A noi è noto come Pontormo, uomo e artista interessantissimo, vissuto in un periodo alterno ed inquieto che mostra molte assonanze con il presente. L'altalena di situazioni storiche e ordinamenti cha caratterizzò la capitale toscana dopo la morte del Magnifico (1492) vede la breve meteora della repubblica savonaroliana e una prima cacciata dei Medici, la calata di Carlo VIII, il ritorno di Giuliano in città, poi il tragico "Sacco di Roma" (1527) ad opera dei Lanzichenecchi, una nuova repubblica che soccombe subito agli imperiali e infine il ritorno di Alessandro de' Medici. Tra rivendicazioni populiste, congiure, reazioni oligarchiche, si consolida un accentramento di potere che lentamente sboccherà nello stato moderno. Intanto anche la Chiesa di Roma è corrosa dai nuovi fermenti religiosi della Riforma, il paese invaso dagli stranieri. Finito il primato economico della penisola e dei suoi Comuni, non rimangono più illusioni di quella stabilità equilibrata che era stata l'aspirazione del Rinascimento. In questo clima opera Pontormo, interprete sensibile e angosciato di questo periodo di trapasso, insieme ad altri artisti (Rosso Fiorentino, Bronzino), che danno vita al Manierismo, un gusto e uno stile aldilà delle intuibili accezioni negative del termine. Del resto già in Michelangelo alla staticità delle formule rinascimentali si era affiancato il bisogno di esprimere i tumulti e le eccitazioni dell'anima. Tutto questo non per fare la lezioncina di storia dell'arte (che ci vorrebbe ben altro) ma solo per comprendere come non fosse facile affrontare tale personaggio in un film. Ci ha provato il regista Giovanni Fago con l'opera uscita in questi giorni. Il periodo preso a soggetto è quello degli anni della tarda maturità, quando Jacopo Carrucci, su commissione del duca Cosimo dei Medici, è impegnato negli affreschi del coro di San Lorenzo, che non porterà a termine. Il suo Giudizio Universale, concluso dal Bronzino, amico ed allievo, verrà distrutto nel 1738 su ordine dell'ultimo esponente dei Medici. A film finito, si può dire che delle cose importanti c'è tutto: la visione a volte allucinata del Pontormo, l'esasperante lentezza nel lavoro, la concezione religiosa combattuta tra ortodossia ed echi savonaroliani, il tratto ispido e solitario del personaggio, il culto per la libertà dell'artista. Eppure l'opera, così ambiziosa e minuziosa negli ingredienti, risulta scarsamente emozionante, intrinsecamente ripetitiva, così come poco espressiva appare l'interpretazione di Joe Mantegna. La narrazione poi è lenta e monotona: primi piani alternati, dialoghi arruffati e incolori, luoghi rinascimentali poco valorizzati, ricostruzione d'epoca attenta ma troppo povera. La musica di Pino Donaggio infine, con toni pseudosacri di maniera, risulta invadente. In sintesi la storia racconta l'elaborazione difficile dell'opera tarda del maestro e mette in risalto l'episodio di una fanciulla (Galatea Ranzi) accusata come strega dall'Inquisizione e difesa dalla testimonianza del Pontormo, sia per essere in pace con la propria coscienza, sia perché se ne è invaghito in silenzio. Qua e là qualche scena di genere sulla vita del tempo, alcune pennellate sulla situazione storica per spiegare l'opportunismo di sempre della politica, con un occhio al peso crescente dell'Inquisizione. Rimangono comunque impresso il colorismo ricercato e personalissimo del pittore, percorso da colori acidi, esplosivi, quasi tattili, le sue composizioni in equilibri difficili e strani, il naturalismo che in alcune opere denuncia la forte tensione interiore dell'uomo e le sue angosciose domande. Queste ultime, per la problematicità, a volte ambigua, verso ciò che l'ha preceduto e per i dubbi sui tempi che cambiano, sono molto simili alle nostre.
Olga di Comite
http://www.cinemovie.info/Pontormo_scheda.htm


Una volta Franco Zeffirelli mi confidò che trasporre cinematograficamente la biografia degli artisti del passato era un impegno di estrema difficoltà. La monotonia della routine quotidiana tra pennelli, scalpelli e committenti avrebbe annullato ogni interesse narrativo. Uniche eccezioni, a suo dire, Benvenuto Cellini e Caravaggio. Entrambi ebbero poi i loro volti sullo schermo (ma, anche, Raffaello e Michelangelo). Stavolta, dopo il buon esito di Vermeer e della sua Ragazza con l’orecchino di perla, è toccato a Jacopo Carucci, d.° il Pontormo (Pontormo/Empoli, 1494-Firenze, 1557) l’onore di rivivere per un pubblico di spettatori sofisticati. “Pontormo – un amore eretico”, regia di giovanni Fago, ha come protagonista Joe Mantegna e non sembri un bisticcio tra arti, filologia e immagini : Mantegna è omonimo del grande pittore Andrea (quello della mantovana Camera degli sposi), ma l’attore Mantegna truccato da Pontormo è un sosia di Benvenuto Cellini! ma, in fondo, anche Caravaggio si chiama Michelangelo ed è un po’ come se Giotto si chiamasse Raffaello! Al di là di queste considerazioni la figura del genio ipocondriaco e misantropo è resa nel film con estrema credibilità e poca monotonia, anche se dalle note scritte in quello che l’artista chiamò “Il libro mio” (vale a dire il suo “diario”) traspare una personalità ben altrimenti nevrotica e solitaria.
Quante volte afferma di essersi rifiutato di di aprire la porta a chicchessia, senza timori reverenziali per alcuno, nonché, come sovente abbia tirato su la scala con la quale raggiungeva il suo letto per rimanere isolato. Il diario è una continua annotazione del cibo che mangiava (e di ciò che restituiva nel vaso, con descrizione, il giorno seguente). Già il filosofo neoplatonico Marsilio Ficino aveva prescritto una sorta di normativa dietetica agli artisti, da ciò i precetti igienici che il Pontormo richiama per proprio uso: atti a tenere in regola il corpo evitandone i malanni e allontanando la morte di cui (a detta del biografo aretino Giorgio Vasari) aveva grande paura. Dal 1554 (anno nel quale inizia) il diario è quindi la traccia principale del film per restituire l’ultimo atto della vita dell’artista : retrospettivamente dal 1546, anno della commissione medicea degli affreschi del coro fiorentino di San Lorenzo, che lascerà incompiuti alla morte, l’1 gennaio 1557 – il passaggio dell’incarico all’allievo Bronzino (un eccellente Massimo Wertmuller), reputando di non avere più tempo terreno, è la sua più amara confessione esistenziale di fronte a una società dominata (anche nella laica Firenze) dal giogo di una Fede ossessionata dall’eresia fino alla superstizione. Si è ipotizzato che in quegli ultimi anni egli partecipasse a una setta religiosa d’impronta valdese, gli “Spirituali”.
La Riforma Cattolica non glielo perdonò e il Grande Inquisitore (uno straordinario Laurent Terzieff) si periterà di provocarlo fino al ricatto, quando il pittore si presenterà a testimoniare in difesa di una donna di Fiandra, già stuprata e mutilata della lingua, nelle guerre di religione, ottima (e invidiata) filatrice di arazzi, da lui amata (Galatea Ranzi). Un film di grande suggestione evocativa che, tramite i disegni conservati agli Uffizi e la mano della pittrice Assunta Paravati (e della computer-grafica), restituisce (come gli ambienti dell’arazzeria medicea) le dimensioni al vero di un capolavoro distrutto dall’incuria e dal mutare del gusto nel 1742.
Maurizio Marini
http://www.eosarte.it/Pontormo.htm
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La maniera nuova che sfidò i Giganti del Rinascimento
 
Jacopo Carrucci (1494-1557), detto il Pontormo dalla località presso Empoli dove l'artista ebbe i natali, già nel 1508 è in quel di Firenze a bottega da Leonardo da Vinci. Ed anche se tale permanenza si protrarrà per solo un anno, il giovane apprendista rimarrà legato per tutta la sua vita artistica ai modelli dello sfumato leonardesco (palesemente ravvisabile nell'angelo della Deposizione, 1526-28) e all'uso di colori eterei e iridescenti. Poi, l'incontro con Raffaello e Michelangelo, suoi contemporanei, rafforzerà da un lato la sua ricerca coloristica basata sull'esperienza del primo e infine la potenza plastica espressa dal secondo. L'ultimo scorcio di vita del Pontormo, quello preso in esame dal film di Giovanni Fago, sarà invece caratterizzato dall'influenza della pittura fiamminga, specialmente da quella del Dürer, come è facilmente riscontrabile dai profili fortemente segnati del Ritratto di giovinetto (1525-27), considerato come l'effigie di Alessandro de' Medici. Pargolo di quella Corte dei Medici che dopo il 1530 aveva adottato il Pontormo come pittore ufficiale della sua rinata signoria. Ma in un rapporto non certo idilliaco con l'artista. Che infatti veniva spesso criticato a causa della sua cronica lentezza e per alcuni soggetti non propriamente legati all'ortodossia della Chiesa del tempo.
Una difficilissima convivenza, dunque, che finì per tormentare ancor di più l'animo di un pittore che in una sorta di suo diario, "Il libro mio", scrisse mestamente: "Giovedì feci in quel canto in sul coro della storia finita. Venerdì feci quella gamba di quella figura grande intera. Adì 20 detto: la mattina ebi un mogio di grano; la sera mi lavai e piedi e percossi ne l'uscio con un calcio tale che io mi feci male e duolmi in sino a ogi, che siano adl 25 cioè. 25 sabato feci quella coscia grande".
Un diario in cui l'arte si mischia alla spoglia quotidianità, che Fago ha intelligentemente utilizzato come fonte di ispirazione non solo per delineare le caratteristiche di un personaggio che Joe Mantegna ha tradotto alla lettera, ma anche per porre sotto il riflettore un affresco emblematico dell'artista, quel Giudizio Universale, dipinto nel registro inferiore del Coro della Basilica di San Lorenzo in Firenze, che alla morte dell'artista (dopo che il discepolo Agnolo Bronzino lo portò a termine) venne scialbato e di cui rimangono solo gli splendidi disegni di base conservati negli Uffizi. Una brutta, bruttissima storia che affonda le radici nella censura preventiva dell'Inquisizione (manco fosse antesignana di Bush!), che ci ha  privato  di una delle opere più alte di quella maniera nuova di superare la classicità rinascimentale tipica del nostro. Una nuova maniera di dipingere che si traduce nell'arditezza di inedite figure plastiche, in intensi particolarismi somatici e in un'esplosione di colori "astratti", quasi idealizzati, che portano l'artista a gareggiare con la natura nell'invenzione di nuove tensioni cromatiche che prima di essere arte si fanno poetico racconto della realtà. In una parola, il Manierismo. Ma quello puro. Quello non ancora inficiato dalla pedissequa ripetizione degli stilemi tipici della pittura d'accademia. Un momento di passaggio nella Storia dell'Arte che dovette misurarsi con i Golia del Rinascimento: Leonardo, Raffaello e Michelangelo, ma che il piccolo-grande David della pittura di maniera seppe  far  vacillare con la  forza  della  "licenzia", nuovo "ordine della regola", che il film di Fago evidenzia assai bene puntando soprattutto sulla lotta per la propria libertà espressiva condotta dell'artista stesso. Una ricerca di autonomia da ogni potere, ecclesiastico e non, che nella pellicola si sublima con l'apporto di un personaggio immaginario, Anna, splendidamente interpretata da Galatea Ranzi, che Pontormo salva dall'accusa di stregoneria, proteggendo implicitamente anche la presunta eresia della sua arte, dinanzi ad una Inquisizione tanto più debole di validi argomenti, quanto più forte di pervasivi poteri.
Osvaldo Contenti
http://www.pitturaedintorni.it/cinemaepittura/cinemaepittura15.htm

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