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martes, 11 de junio de 2013

L'immoralità - Massimo Pirri (1978)


TITULO ORIGINAL L'immoralità
AÑO 1978
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Español (Separados)
DURACION 109 min.
DIRECCION Massimo Pirri
GUION Morando Morandini Jr., Massimo Pirri, Federico Tofi
MUSICA Ennio Morricone
FOTOGRAFIA Riccardo Pallottini
REPARTO Howard Ross, Lisa Gastoni, Mel Ferrer, Andrea Franchetti, Karin Trentephol, Angela Luce, Wolfango Soldati
PRODUCTORA Ducale / Una Cinecooperativa
GENERO Drama. Thriller

SINOPSIS La joven Simona, que vive con su padre inválido y su madre, acoje en su apartada casa de campo a un prófugo de la policía perseguido por varias violaciones y asesinatos de jóvenes chicas de la localidad. (FILMAFFINITY)



Massimo Pirri, questo sconosciuto.

“L’immoralità” è un film di questo signore che in tutta la sua carriera ha realizzato solo una manciata di lavori, la maggior parte dei quali derisi dalla critica. Anche il film di cui scrivo al tempo non riscosse molta approvazione da pubblico e critica, sicuramente per imperfezioni tecniche notevoli e soprattutto per i suoi contenuti dai toni dissacranti.
Non siamo davanti a un seguace di Marco Ferreri anche se il pensiero anarchico e ribelle presente nel film potrebbe indurre a immaginarlo, ci troviamo piuttosto al cospetto di un regista che ha avuto poca fortuna vuoi per suoi demeriti ma ancora di più perché  con idee un po’ troppo avanti peri tempi che correvano.
Il film parte bene e eccome se parte bene:  un uomo intento a seppellire il corpo esanime un bambina, poi un inseguimento  con la polizia e la fuga in un bosco.
Siamo in una cittadina non meglio identificata dove tutti sanno di tutti ma fanno finta di non sapere, la tipica provincia.
Simona (Ida Meda) è una bambina di 12 anni che vive con i suoi genitori in una casa immersa nella campagna, in completa solitudine e circondata da un vuoto affettivo pauroso.
La madre (Lisa Gastoni che a tratti, con le dovute proporzioni, rimanda un po’ alla Deneuve in Bell de jour) trascorre le serate con amanti sempre diversi attendendo solo che il marito muoia lasciandole così la ricca eredità, il padre (udite udite interpretato da Mel Ferrer!) invece malato e sulla sedia a rotelle spende il suo tempo a lubrificare canne di fucili da caccia.
L’unica via di fuga da quella solitudine per Simona sono le passeggiate nel bosco, lo stesso bosco dove un uomo ferito si è rifugiato cercando di sfuggire alla polizia.
L’incontro tra Simona e il misterioso uomo è inevitabile e tra i due nasce un’intesa molto forte.
Ciò che Simona non sa è che chi ha davanti è un pedofilo che ha mietuto tante vittime ma affascinata e incuriosita dall’uomo decide di dedicargli tutte le attenzioni necessarie per curarlo e nasconderlo.
Il paese mormora , la madre di Simona comincia a sospettare che la figlia nasconda qualcosa e non passa molto tempo prima che arrivi a  scoprire il segreto
Ma qui il film sorprende sovvertendo una trama fino a questo punto abbastanza piatta.
Tra madre e figlia si scatena una battaglia per chi debba essere la prediletta del killer dando origine a un vortice di gelosie e invidie.
Il pedofilo diviene un normale ospite all’interno della casa, conteso da una bambina che ha fretta di crescere e da sua madre sempre alla disperata ricerca di incontri trasgressivi.
Simona per forza di cose viene a sapere chi sia l’uomo ma il suo bisogno di attenzioni la spinge sempre a cercare la sua presenza e a concedersi a lui e addirittura a chiedergli un bambino.
La degenerazione morale si trasforma piano piano in violenze e aggressività che esplodono in un finale tanto pacchiano quanto interessante.
Massimo Pirri, autore di film underground negli anni 70’ ha tante idee ma le mette giù un po’casaccio forse più con l’intento di trasgredire che raccontare qualcosa.
Le pecche sono tantissime e spaventose come il montaggio amatoriale e la sceneggiatura barcollante ma il film ha un suo perché e soprattutto non manca di originalità.
Va ricordato che siamo alla fine degli anni ‘ 70 e argomenti come la pedofilia non riscuotevano tantissimo successo perché ancora imprigionati nell’elenco dei tabù.
Perché il film di Pirri è tosto, malato e assurdo.
E’ un favola popolata da personaggi inquietanti, spaventosi .
Una sorta di Cappuccetto Rosso in versione Weird.
Il cattivo viene tramutato a tratti in vittima mettendo in risalto la sua fragilità e insicurezza, azzardo notevole  per i tempi se si tiene conto che si parla di un pedofilo, al quale viene inoltre concessa l’opportunità di esprimere i suoi punti di vista sull’amore e la vita.
Simona nella sua innocenza viene travolta da un contesto spietato e piano piano inghiottita dalla follia che domina attorno a lei, intrappolata in una “voliera” (metafora ricorrente nel film) in cui  ognuno sogna di toccare il cielo cercando si sopraffare l’altro.
E così quanto più gli uccelli si avvicinano alla sommità stretta della voliera tanto più si feriscono con i loro becchi e artigli, accecandosi e mutilandosi.
Magari uno di loro riuscirà a scappare, certo, ma quelle ferite saranno per sempre le sue catene.
Pirri non lascia speranze né messaggi di consolazione, rade al suolo tutto e alla cieca.
Non contesta né critica, semplicemente annienta.
Ma va bene così, in fondo cercando di fare meglio poteva andare anche peggio.
http://iconiglicimagerannovivi.wordpress.com/2012/07/07/limmoralita/


Comincia con Howard Ross/Renato Rossini che tiene in braccio il corpo morto di una bambina, "L'immoralità" di Massimo Pirri. Nessuna concessione al pietismo, si capisce subito che cosa è successo. Dopo aver seppellito il cadavere, Ross se ne va a bordo di un furgoncino. Non farà molta strada, giusto il tempo di far scorrere i titoli di testa, che la polizia lo fermerà. Da qui ha inizio la fuga che lo porterà da Simona (Karin Trentephol), undicenne con ricca famiglia alla sfascio, padre paraplegico e madre puttana e alcolizzata.
Sia chiarito fin da subito che chi scrive considera la pellicola di Pirri un gran film. Questione di gusti. Una pellicola figlia della seconda metà degli anni settanta, controversa, sicuramente non facile, che mischia noir, dramma ed erotismo. E che ha per protagonista un pedofilo assassino. Ferito dopo lo scontro con i poliziotti, Federico (Ross), incontra Simona nel bosco adiacente la grande villa di famiglia; si instaura subito un rapporto di complicità e fiducia tra i due, anzi, la bambina sembra trovare in Federico quell'affetto totalmente assente tra le mura di casa, dove odio e rancore hanno trovato terreno fertile. Vera (Lisa Gastoni) donna non giovanissima ma ancora piacente, concupita da tutto il parterre maschile del paese, beve, si porta uomini a casa, incurante del marito (Mel Ferrer) collezionista di armi e orologi, costretto sulla sedia rotelle, che non si aspetta più niente dalla vita. Di contorno le ricerche effettuate dalla polizia e da un gruppo di vigilantes guidati dal violento Antonio (V(W)olfango Soldati, volto noto ai frequentatori delle produzioni italiche di genere, visto sovente nei film di Enzo Girolami Castellari e pure in "Pensione paura" di Francesco Barilli, nonchè fidanzato di Anna Cardini, una delle vittime in "Buio Omega" di Massaccesi/D'Amato).
Molta carne al fuoco. Pirri, regista interessante e assolutamente da riscoprire, già incontrato su queste pagine in occasione di "Italia: ultimo atto?" (1977) dipinge il disfacimento dell'istituzione familiare con rara ferocia, offrendo al pubblico quella che sembra essere una favola a tutti gli effetti, con la mamma cattiva, l'orco e la bambina protagonista, la magnifica Karin Trentephol, centro assoluto della pellicola, splendida meteora del bis nazionale, che si offre senza vergogna all'occhio della cinepresa, perchè il cinema nei selvaggi settanta era anche questo. La madre "puta" che seduce lo "straniero" affinchè uccida il marito che lei non ha il coraggio di assassinare, la bambina che s'innamora dell'assassino sperando che egli sia in grado di indicarle il "sentiero" da percorrere, bambina lucida, con due occhi glaciali, che si concede di sua sponte a Federico, in bagno dopo essere uscita dalla vasca, in una scena che oggi provocherebbe interrogazioni parlamentari ed ore ed ore di trasmissioni televisive. Triangolo inevitabilmente destinato a finire nel sangue e nella violenza, gestito da personaggi che non riescono a imbastire nessun tipo di rapporto umano senza che ci sia di mezzo il ricatto e lo sfruttamento, polizia compresa (l'ispettore interpretato da Andrea Franchetti, sodale di Pirri, qui espressivo quasi quanto il bollito di apprezzata tradizione culinaria).
Nessuna speranza, nessuna riappacificazione, l'unico carattere realmente indipendente, nonostante la grave malattia, risulta essere proprio il marito (un bravo Mel Ferrer, in un ruolo fumoso e misurato), senza nome, che decide di togliersi la vita, stanco e consumato da rapporti affettivi così distorti da diventare più letali della malattia stessa; lo sguardo disincantato e decadente di Pirri non prende nemmeno per un attimo in considerazione un ipotetico happy end, con Federico e Simona, mano nella mano, che si incamminano verso il bosco, in cerca di una impossibile vita da passare "insieme". Tutti, ma proprio tutti, cadranno sotto i colpi della pistola impugnata da Simona, libera, alla fine, di raggiungere il luogo dove mi aspettano quelli della mia età. Cultissimo, imperdibile, almeno per chi scrive, forte dell' interpretazione della Gastoni (qui veramente molto bitch, donna bellissima che non ha certo bisogno di presentazione in questa sede, carriera di tutto rispetto, dal peplum allo spiaggerello ["Diciottenni al Sole", 1962 di Camillo Mastrocinque] fino a "Labbra di Lurido Blu", 1975 di Giulio Petroni, tra le altre cose, senza contare le collaborazioni con Salvatore Samperi) è film da rivedere e riscoprire, grazie alla pubblicazione in Dvd nel 2006 a cura del Gruppo Minerva/Rarovideo, prima era reperibile su videocassetta CIV. Consigliatissimo agli amanti delle schegge impazzite dei seventies, con tanto di immarcescibile Renato Rossini, che in ambito bis ha fatto tutto quello che si poteva fare, peplum, Zorro, spaghetti-western, ma pure "Il Boss" (1973), capolavoro dell'amatissimo Fernando Di Leo, e "Lo Squartatore di New York" (1982) di fulciana memoria, ma anche a chi è disposto a toccare con mano oggetti non identificati come la pellicola in questione, al di là di qualunque steccato imposto dai generi.
In una scena, sul televisore passano le immagini di un precedente film di Pirri, "Càlamo" (1976) con Lino Capolicchio, facente parte della retrospettiva dedicata a Pirri dal Centro Sperimentale di Cinematografia nel maggio 2009, "Il Cinema (im)morale di Massimo Pirri". In qualità di direttore di produzione, è accreditato Raniero Di Giovanbattista, cioè il Jonas Rainer di "Libidine" (1979) il film con Cinzia De Carolis e Marina Hedman Frajese, quello con la scena del pitone, che, leggenda vuole, portò la De Carolis a citare in giudizio la produzione a causa degli inserti hard. Musiche del Maestro Morricone, con splendida partitura finale che accompagna la Trentephol mentre si incammina, sola, verso il bosco. Da vedere.
«Se vivi in una società civile, devi cercare di non imbrogliare gli altri, nel mio caso il pubblico, appunto. Ma occorre anche essere se stessi, non tradirsi solo per accontentare gli spettatori. Da queste due esigenze la necessità di avviare un dialogo con il consumatore del prodotto cinematografico: io offro le immagini, tentando di far conoscere il loro valore e mettendo da parte la parola che a volte non dà neanche il tempo di riflettere. Più tardi, attenderò la risposta»
(Massimo Pirri).
http://robydickfilms.blogspot.com.ar/2011/09/limmoralita-aka-la-venganza-de-baby.html

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