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jueves, 19 de septiembre de 2013

La vita ricomincia - Mario Mattoli (1945)


TITULO ORIGINAL La vita ricomincia 
AÑO 1945
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Italiano (Separados)
DURACION 89 min.
DIRECCION Mario Mattoli
GUION Aldo De Benedetti, Mario Mattoli, Steno
REPARTO Fosco Giachetti, Alida Valli, Eduardo De Filippo, Carlo Romano, Aldo Silvani, Nando Bruno, Anna Haardt, Maria Donati, Ughetto Bertucci, Maurizio Ceselli, Fabrizio Tosi, Carlo Rizzo, Galeazzo Benti, Luigi Erminio D'Olivo
FOTOGRAFIA Ubaldo Arata
MONTAJE Fernando Tropea
MUSICA Ezio Carabella
PRODUCCION Excelsa Film
GENERO Drama

SINOPSIS Da poco rientrato a Roma dopo una lunga prigionia di guerra, il medico Paolo Marchini apprende che la moglie Patrizia è stata arrestata per omicidio. Tre anni prima, senza denaro per curare il figlioletto gravemente malato, aveva consentito a un appuntamento con un signore facoltoso sconosciuto che non aveva più rivisto. Costui s'era fatto vivo la sera prima, cercando di riagganciarla. Discussione, sparo. Patrizia viene processata. Melodramma popolare che anticipa la serie Nazzari-Sanson degli anni '50 con una risentita descrizione dell'Italia in rovine (borsaneristi e cafoni arricchiti in opposizione agli stenti e alle sofferenze dei più). Una Valli intensa e un ottimo De Filippo. Presentato al Festival di Locarno 1945, molto venduto all'estero, favorì la chiamata della Valli a Hollywood. (Il Morandini)

Enlaces de descarga (Cortados con HJ Split)

“Il cinema si fa con gli attori; molti dicono che si fa anche con gli uomini della strada che sono più veri - il neorealismo ecc. - sono tutte cose che io non ho mai capito, chiedo scusa” (M. Mattoli)

TRAMA: 
Un reduce dalla prigionia torna dopo anni di assenza nella propria casa e nel grande scoraggiamento che lo pervade, ha la gioia di ritrovare intatto l'affetto della propria moglie e del figlio. Ma quando sta per ricostruirsi faticosamente una posizione, viene a scoprire che la donna, durante la sua assenza fu costretta a vendersi per salvare il bambino da una grave malattia. Per liberarsi dal suo seduttore che le impone un odioso ricatto, la donna lo uccide e il marito, pur cercando di salvarla da un vergognoso processo, non sa perdonarle di averlo tradito. Le sagge parole di un amico di famiglia riescono però a convincerlo della assoluta eccezionalità degli eventi in cui la donna si era venuta a trovare e quando essa viene assolta egli è ben felice di perdonarla.

CRITICA: 
"Lo spirito di autentico dramma di scottante attualità non è sfruttato con sufficiente perizia ed il film risulta fiacco, sfocato e retorico. Discreta l'interpretazione". ('Segnalazioni cinematografiche', vol. 19, 1944-45)

"C'è una furba aderenza del dialogo a circostanze ed eventi di questo tormentato dopoguerra. C'è un'impressionante visione di Cassino distrutta che Mattoli ha saputo inserire nella parte iniziale della vicenda senza darle un freddo tono documentario ma facendola balzar viva, in tutta la sua raccapricciante crudezza avanti agli occhi sbigottiti degli spettatori. E' nell'insieme, un film più abile che ispirato, e nel quale logori ingredienti patetici e notazioni visive sono insieme amalgamate da un costante senso visivo dell'azione e da una facile fluidità del racconto". (Achille Valdata, 'Cine-Teatro', n. 10, 15/30 dicembre 1945)

NOTE: 
- SUONO: GIOVANNI BIANCHI.
- GIRATO NEGLI STABILIMENTI SAFA-PALATINO.- PRESENTATO AL FESTIVAL DI LOCARNO, IL FILM FU ACQUISTATO DALLA MGM CHE NEL 1947 LO DISTRIBUI' NELLE SALE CINEMATOGRAFICHE DI NEW YORK.
- CON QUESTO FILM ALIDA VALLI SI IMPOSE ALL'ATTENZIONE DI DAVID O. SELZNICK, CHE LA VOLLE ACCANTO A GREGORY PECK E CHARLES LAUGHTON NEL FILM "IL CASO PARADINE" (1947) DI ALFRED HITCHCOCK.

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Nella primavera 1945 Mattoli gira La vita ricomincia (ottobre 1945; 86 min.) su sceneggiatura propria e di Aldo De Benedetti, pellicola che rappresenta, con altre, l’Italia al festival di Locarno. Fosco Giachetti e Alida Valli, la coppia di amanti “sovietici” di Noi vivi (Alessandrini, 1942), dà corpo a un nuovo, intenso melodramma cinematografico compiutamente calato nell’atmosfera relativamente serena dell’immediato dopoguerra. Numerose sono le ferite aperte, visibili e invisibili, e il regista riesce a dar conto di entrambe con impagabile, misurata sensibilità, nonché con un occhio attento a registrare fatti ed eventi in modo lineare e freddo, sottoponendole al sereno giudizio dello spettatore. Il lavoro di Mattoli non è un ostile riesame politico del passato bensì un affresco denso di chiaroscuri, ma complessivamente ottimistico, intorno a un popolo che si appresta a “ricostruire” la propria dimora sulle rovine esteriori e “interiori” generate dal conflitto e dalla guerra civile. E’ un lavoro pregevole che non ha trovato la giusta eco poiché in esso si parla del dramma dei reduci (argomento imbarazzante per le nuove forze politiche), si allude con coraggio ai guasti della presenza americana (laddove i film resistenziali esaltano in modo acritico l’operato degli Alleati), si guarda con simpatia a una nuova classe di popolani e piccolo borghesi che si arrangia con fantasia e buoni esiti commerciali e infine si costruisce con questi elementi un perfetto, coinvolgente meccanismo narrativo di “vecchia scuola”. Si tratta insomma di un film animato da una visione moderato-centrista. Se a ciò si aggiunge che l’autore è uno dei principali protagonisti della cinematografia del passato regime (non diversamente, peraltro, dai vari De Sica, Rossellini e Vergano) si può notare che nel lavoro ci sono tutti gli elementi atti a fare imbestialire la nascente “nomenclatura neorealista? (Spinazzola ad esempio lo definisce “opera di levatura modesta”). Così il film, colto un notevole successo (è il secondo per incassi in quel 1945), viene rapidamente dimenticato. 
La vita ricomincia però piace agli americani: la MGM lo acquista e lo fa uscire nelle sale newyorchesi nel 1947. E’ merito di questo film se il produttore David O. Selznick impone a un Alfred Hitckcock poco convinto Alida Valli per il ruolo principale di The Paradine Case (1947) nel quale l’attrice italiana recita con Gregory Peck e Charles Laughton ancora nel ruolo di un’assassina. In seguito la Valli interpreta quattro film a Hollywood (1947-50), esperienza che tuttavia si rivela complessivamente negativa, costringendola a tornare sui set europei.
Paolo Martini, dopo sei anni di guerra (alcuni passati come prigioniero nei campi inglesi in India), torna a Roma e trova moglie e figlio ad attenderlo. C’è anche un simpatico vicino di casa, il professore (un ottimo Eduardo De Filippo), a cui è affidato il compito di saggio commentatore delle amare vicende passate e presenti. Rovine paurose (Cassino e l’abbazia di Montecassino distrutte dai bombardamenti alleati) e un antipatico posto di blocco americano sono l’inquieto prologo del rientro al quale vanno aggiunte alcune sagaci battute antialleate proposte dal celebre commediografo napoletano. 
La normalità sembra lentamente riprendere il proprio corso senonché il comportamento ambiguo della moglie, Patrizia Martini (Alida Valli), sfocia in modo inatteso in un delitto consumato nella ricca abitazione di un oscuro, potente personaggio. Si scopre allora che negli anni più bui della guerra la donna, per salvare il figlio gravemente ammalato e pagargli una costosa operazione, si era concessa a costui il quale, avendola rivista col marito, minacciava ora di raccontare l’accaduto al fine di poterla possedere una seconda volta; si giunge così all’incontro segreto dei due che si conclude con la morte dell’uomo, ucciso dalla Martini nel tentativo di difendersi. La situazione familiare crolla; il reduce cerca comunque di aiutare la moglie che infatti viene assolta. A quel punto però vorrebbe lasciarla, essendo incapace di superare il tradimento subito. 
Sarà allora il commosso discorso dell’amico professore a convincerlo che è tempo di perdonare, comprendere e “ricostruire” l’edificio gravemente “lesionato” dei propri affetti familiari. L’uomo capisce e la pellicola termina con il gruppo a tavola che cerca di “ricominciare a vivere”. 
Le difficili problematiche del dopoguerra vengono affrontate con misura e realismo in un raccconto completamente centrato sulla dimensione privata. Senza eccedere negli effetti patetici, con una narrazione scandita da un ritmo celere ed essenziale, Mattoli esamina un difficile caso di coscienza osservando i suoi personaggi con il necessario distacco. La guerra diviene allora la sciagura che ha dissolto i nuclei familiari e reso i deboli più deboli, spesso inermi vittime dei potenti. Questa angosciosa, lacerante forbice ha generato vicende torbide e morbose, rendendo possibile l’impossibile. Una donna, rimasta sola e senza aiuti, si sacrifica per il benessere del proprio figlio e deve soggiacere al volere del più forte mentre il reduce, smarrito e sradicato, tornato in una patria differente da quella che aveva lasciato sei anni prima, non solo non trova alcuna comprensione avendo preso parte a una guerra ora giudicata ingiusta, ma deve subire il tradimento e l’abbandono come eventi resi inevitabili dalla situazione complessiva. Tutto ciò è descritto con toni sapienti e controllati da un regista che ha scelto in De Filippo il proprio alter ego: è quest’ultimo, che tra l’altro ha perso moglie e figlia in un bombardamento a Napoli, a tracciare la via e ricordare che il peggio è oramai alle spalle e si tratta ora solo di essere in grado di superarlo a livello mentale. 
D’altronde lo scenario globale non è affatto drammatico, come nella maggior parte dei film “neorealisti”: faccendieri più o meno onesti (ma su ciò è evidente il tono di complicità dell’autore) riescono comunque a tirare avanti con piccoli e grossi traffici, dandosi da fare alle spalle della polizia americana. Ci sono nuovamente le bische (già mostrate da Bonnard in Campo de’ Fiori, 1943) segno ambiguo e tuttavia positivo di una ripresa economica, i trasportatori senza scrupoli, le ditte farmaceutiche trasformate in magazzini di alcolici: l’italica arte di arrangiarsi trova le giuste note nel piccolo affresco di Mattoli. 
Nell’ambito del dramma privato invece i toni sono quelli accorati e contorti dell’ottimo Stasera niente di nuovo (Mattoli, 1942) sempre con Alida Valli: come allora una fotografia dai toni contrastati e scuri illumina le figure nei momenti più difficili mentre la colonna sonora si affida nuovamente a ricordi del teatro lirico (nel film precedente si trattava di Traviata e Lucia di Lammermoor) utilizzando con mano sicura e senza esasperazioni il celebre tema dell’ouverture verdiana della Forza del destino (1862) per commentare il vortice in cui va pecipitando, senza possibilità di uscita, la donna mentre alle note malinconiche del famoso Studio op 10 n. 3 (trascritto per orchestra) di Chopin è affidato il compito di accompagnare i momenti della compassione e dell’intimo dolore. Come sempre l’antica tradizione lirica-romantica partecipa agli esiti migliori della nuova arte cinematografica italiana.
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