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miércoles, 16 de octubre de 2013

Confessione di un commissario di polizia al procuratore della repubblica - Damiano Damiani (1971)


TITULO ORIGINAL Confessione di un commissario di polizia al procuratore della repubblica
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Español e inglés (Separados)
AÑO 1971
DURACION 101 min.
DIRECCION Damiano Damiani
GUION Damiano Damiani, Fulvio Gicca Palli, Salvatore Laurani
MUSICA Riz Ortolani
FOTOGRAFIA Claudio Ragona
MONTAJE Antonio Siciliano
REPARTO Franco Nero, Martin Balsam, Marilù Tolo, Claudio Gora, Arturo Dominici, Michele Gammino, Luciano Lorcas, Giancarlo Prete, Adolfo Lastretti, Calisto Calisti, Adele Modica, Roy Bosier, Filippo De Gara, Giuseppe Alotta, Giancarlo Badessi, Paolo Cavallina, Giovanni Palladino, Dante Cleri, Wanda Vismara, Nello Pazzafini
PRODUCTORA Euro International Film (EIA) / Explorer Film '58
GENERO Drama | Crimen. Mafia

SINOPSIS El trabajo de un comisario y un juez se ve obstaculizado por la corrupción que reina en las altas esferas gubernamentales. Enfrentarse a los designios de políticos y mafiosos sin escrúpulos es tarea imposible. (FILMAFFINITY)

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Subtítulos (Inglés)


Confessione di un commissario di polizia al procuratore della Repubblica è un film diretto da Damiano Damiani nel 1971. Regista molto profilico, Damiani si fece conoscere negli anni settanta grazie soprattutto ad un serie fortunata di political thriller, tra cui L’istruttoria è chiusa: dimentichi (1971), Perché si uccide un magistrato (1974), Io ho paura (1977) e, appunto, il film in questione.

Trama:
A Palermo, il commissario Bonavia induce, con un ricatto verso i medici, a dimettere dal manicomio della città il pregiudicato Michele Li Puma, criminale che cova un antico rancore nei confronti di Ferdinando Lo Munno, un noto costruttore con amicizie politiche influenti, che in realtà Bonavia sa essere un pericoloso mafioso. Il commissario però, a causa della corruzione e dell’omertà, non è mai riuscito ad incriminarlo, e quindi spera che Li Puma cerchi di vendicarsi nei confronti di Lo Munno, che anni prima lo aveva fatto rinchiudere con la complicità della sorella Serena, al tempo amante del costruttore. Il giorno dopo infatti Li Puma, travestito da poliziotto, fa irruzione nello studio di Lo Manno sparando ed uccidendo tre sicari di Lo Munno, ma trovando a sua volta la morte.
Delle indagini viene incaricato, oltre a Bonavia, il Sostituto Procuratore della Repubblica Traini. Quest’ultimo il giorno dopo riceve la visita dell’avvocato Canistraro che riferisce che Lo Munno, datosi alla latitanza, è disponibile a rispondere alle domande del Sostituto Procuratore ma solo se questi è disposto a recarsi da lui, temendo la presenza di Bonavia; così Traini incontra Lo Munno all’insaputa di Bonavia. Durante il colloquio Lo Munno lascia capire che non teme il commissario, ritenendosi viceversa preoccupato dai suoi “concorrenti”.  I due inquirenti cominciano a studiarsi, diffidando reciprocamente l’uno dell’altro, arrivando persino ad intercettarsi le telefonate.
Ad un certo punto Bonavia rivela al Magistrato che la sua avversione nei confronti di Lo Munno deriva dalla morte di un suo amico, di professione sindacalista, che in passato si era schierato apertamente contro il costruttore e per questo è stato ucciso e sepolto in una cava dai sicari di Lo Munno; questi ultimi inoltre uccisero anche un bambino che aveva assistito al delitto e che Bonavia aveva cercato di proteggere in qualità di testimone. Traini lo accusa del tentato omicidio commissiono a Li Puma. Nel frattempo il commissario entra in contatto con Serena che, avendo capito che Lo Munno intende ucciderla al fine di eliminare l’ultimo testimone, si rende disponibile a testimoniare contro di lui. Traini invece viene informato dai medici del manicomio che è stato proprio Bonavia ad indurli a fare uscire Li Puma dall’istituto sotto la minaccia di incriminarli per la loro mala gestione.
A questo punto gli eventi sembrano precipitare e Bonavia, dopo essere stato messo sotto accusa, uccide Lo Munno in un ristorante lasciando al Procuratore della Repubblica la sua confessione. Traini nel frattempo comincia a riconoscere le responsabilità di Lo Munno e dei politici a lui collegati e si mette a sua volta alla ricerca di Serena che però intanto viene trovata dai sicari, uccisa ed infilata in un pilone di cemento. Bonavia viene ucciso in carcere durante una proiezione cinematografica e Traini, convinto della connivenza di Malta, lo incontra in Tribunale fissandolo senza parlargli, lasciando intendere che non fermerà le sue indagini.

Commento:
Classico political thriller anni settanta diretto da un Damiano Damiani che trovò in tale genere la sua miniera d’oro. Damiani ambienta la vicenda a Palermo per trattare in modo esplicito un argomento che gli stava molto a cuore: i legami tra le istituzioni e la mafia nel sud Italia. Mentre in altri film del filone, tra cui anche molti dello stesso Damiani, si parla di cospirazioni messe in atto dalle istituzioni statali con alcuni non meglio specificati poteri occulti, in questo caso la denuncia sociale di Damiani centra esplicitamente il bersaglio.
Anche i personaggi della vicenda sono quelli classici del genere: il commissario coraggioso e giustizialista, il magistrato più prudente che vuole rimanere nei limiti della legge per non rischiare troppo sulla sua pelle, il costruttore mafioso (Luciano Catenacci è sempre perfetto in ruoli del genere). Inoltre ci sono tanti accenni a fatti che servono ad inquadrare meglio la vicenda e anche a colorirla tristemente: l’omicidio del bambino testimone, l’uccisione dell’onesto sindacalista, l’interrogatorio del pazzo in manicomio e via dicendo. Tragica soprattutto l’ultima scena con l’uccisione del commissario da parte di alcuni sicari mafiosi introdottosi in carcere.
Il film comunque non è tra i più riusciti del genere, a causa di una narrazione un po’ troppo pesante sia perché molto diluita nella lunga durata della pellicola (più di 100 minuti), sia perché spesso eccessivamente intricata (tra colpi di scena, fatti narrati e nuovi personaggi). Anche la fotografia, eccessivamente scura e piuttosto statica, non aiuta; sopra la media invece i dialoghi, come spesso avviene in pellicole di questo genere. In definitiva, Confessione di un commissario di polizia al procuratore della Repubblica è da consigliare a tutti gli amanti del cinema impegnato, ed in particolar modo di quel filone a metà tra crimine, poliziesco e dramma (colorito da ampie tinte politiche) che fece la fortuna di numerosi – e coraggiosi – registi italiani negli anni settanta.
Marco Maculotti


Critica:
Un «giallo sociale» di buon mestiere lubrificato a dovere negli snodi drammatici e spettacolari e con in più un coraggioso appello a lottare per un migliore futuro della Sicilia è Confessione di un commissario di polizia al procuratore della Repubblica di Damiano Damiani, in cui vari ricordi del l’Indagine su un cittadino di Elio Petri e di Mani sulla città di Francesco Rosi si innestano sul tronco del cinema dedicato alla mafia che, grazie a Il giorno della civetta e La moglie più bella, ha ormai in Damiani uno dei suoi alfieri più volenterosi.
Sullo  sfondo  delle  ben  note  connivenze  e  complicità  fra  politici,  impresari  e amministratori, sono qui di fronte un commissario di Palermo e un giovane giudice. Il primo, Bonavia, siciliano lui stesso e amico d’un sindacalista che fu barbaramente liquidato,   non   ha   più   fiducia   nella magistratura: le esperienze compiute, le cose viste, lo hanno persuaso che nell’isola la legge è inapplicabile, perché la corruzione e i favoritismi bloccano le forze dell’ordine. Il suo maggior nemico è  il  mafioso  Lomunno,  un  costruttore edile divenuto miliardario speculando sulle aree e facendo eliminare chi ostacola  i  suoi  progetti.  Bonavia  ha tentato spesso di toglierlo di mezzo per vie legali, e ben tre volte l’ha arrestato, ma il Lomunno è sempre riuscito a dimostrare la propria innocenza grazie all’appoggio dei notabili suoi complici. Per fare finalmente giustizia Bonavia pensa allora di ricorrere al delitto per procura. Fa dimettere dal manicomio criminale un giovane mafioso e gli lascia le mani libere, sicuro che per regolare un vecchio conto l’uomo andrà subito a uccidere il Lomunno. Senonché, per una spiata, il piano non riesce, anzi provoca una nuova strage. È a questo punto che il sostituto procuratore Traini prende le redini dell’inchiesta.  Essa è  lunga e  tortuosa; e  non soltanto perché Bonavia, temendo d’essere scoperto, la intralcia con iniziative personali: Traini s’avvede a poco a poco di muoversi su un terreno minato, cosparso di ricatti, perché la mafia ha ramificazioni ovunque, persino fra gli alti magistrati suoi superiori. Integerrimo e ottimista, l’uomo tuttavia non rinunzia alla battaglia, e quando è sicuro delle colpe del commissario gli impone di dimettersi.  Bonaria obbedisce, e  consegna la  propria confessione, ma raggiunge il Lomunno alla fine d’un banchetto, ne sopporta i dileggi e gli spara al cuore. In prigione tocca a lui: due sicari della mafia lo pugnalano, e al bravo Traini non resta che sfidate con lo sguardo l’alto magistrato  al   quale  forse  risalgono  le maggiori responsabilità.
Se non fosse per questa chiamata di correo, ovviamente bilanciata, a scanso di grane, dall’elogio dell’incorruttibile Traini (in cui riaffiora  l’intrepido  pretore  di  In  nome della legge), il film non direbbe molto di nuovo. Solo per avventura,  del resto, l’azione è ambientata in Sicilia e punteggiata di riferimenti a fatti di cronaca. Da gran tempo il cinema ci ha abituati a questi «gialli» sostanzialmente cosmopoliti, dove i dati caratteristici del costume locale e della psicologia sono assorbiti nel meccanismo dell’intreccio e dei colpi di cena. La Confessione di Damiani conferma in questo senso l’estrema difficoltà di un film sulla mafia che sappia scrollarsi di dosso i due convenzionalismi del cinema sui gangster e del cinema folkloristico. Se tuttavia l’opera si distingue da molte altre consimili venuteci soprattutto da oltreoceano è per l’idea contenuta nel personaggio Bonavia, parente stretto del cittadino al di sopra di ogni sospetto di Petti, la sua sfiducia nella potenza della legge dello Stato è il risultato di una nevrosi da cui chiunque ha in mano una porzione di potere deve guardarsi se non vuole, per troppo amore di giustizia, compiere delitti ancora più gravi di quelli dei criminali di professione. Attraverso il caso Bonavia, raccontato con uno stile serrato e fluido e momenti   agghiaccianti,   il   film   raggiunge   quindi   pregevoli   esiti   civili,   che compensano l’artificiosità della struttura e di certi comportamenti.
Ottimi gli interpreti, primo fra tutti Martin Balsam (lo ricorderete nel recente Comma 22) per risolutezza e precisione di gesti. Franco Nero, nella parte del giudice, si scalda  strada  facendo,  e  Claudio  Gora  dà  un  ben  calibrato  risalto  al  vecchio magistrato, ma non sono da meno gli attori di sfondo, scelti fra caratteristi di faccia grintosa e patibolare. Unica donna Marilù Tolo, spaurita a puntino prima di finire murata nel cemento. (Giovanni Grazzini, ‘Il Corriere della Sera, 1 aprile 1971)

Come film d'azione [...] è senz'altro riuscito; come fatto espressivo lo è un po' meno, e diciamo subito il perché. Il film fino agli ultimi venti minuti è costruito, un passo dopo l'altro, su fatti accaduti. [...] Poi si avverte un salto, dalla cronaca si rovina nel melodramma.   Nessuno   si sentirebbe di dire che il regista ha troppa immaginazione. Il punto non è qui. Si tratta di un organismo narrativo che, a parer nostro, appena il commissario finisce in carcere, soffre di uno
squilibrio: tra realismo e melodramma il divario è notevole. E poiché è il tono che fa la musica, accade che la credibilità del racconto, sempre a nostro gusto, si offuschi.
[...] Sulla liceità dell'invenzione di Damiani non ci pare che esistano dubbi; si tratta però di un'invenzione che sconfina come impatto psicologico dal registro di una vicenda che ogni lettore di giornale conosce come autentica all'ottanta per cento. L'interpretazione è efficace, a cominciare da Martin Balsam, seguito da Franco Nero e da Claudio Gora, dalla oluttuosa Marilù Tolo e da Arturo Dominici. Memorabile in  un  "a  parte"  vigoroso  e  sinistro  la  prestazione  del  ras  dell'edilizia,  Luciano Catenacci. La fotografia è di primo ordine. (Pietro Bianchi, ‘Il Giorno’, 1 aprile 1971)

E' un film non perfetto ma interessante, nel suo rimettere il dito nella piaga della mafia (sia pur senza avere alle spalle l'autorità di uno scrittore come Sciascia) per narrarci  la  vicenda  di  un  magistrato  troppo  ingenuo e di un poliziotto  troppo smaliziato che, anziché collaborare alla sconfitta del comune nemico, si perdono in sospetti  reciproci finché sarà forse impossibile far trionfare la giustizia. [...] La struttura del racconto forse qua e là scricchiola. L'andirivieni tra presente e passato che a un certo punto si stabilisce nuoce, se non all'aggressività del tema, almeno alla chiarezza dello stile. Né del tutto chiari gli stessi personaggi centrali: troppo anarchicamente idealista il Commissario, ad esempio, mentre le debolezze di carattere del Procuratore restano un po' nel vago. Ciò nonostante, il film giunge a tenere il pubblico col fiato sospeso: specie nell'ultima parte, che è la migliore, con un montaggio serrato ed essenziale e una grande abbondanza d'intelligenti effetti sia di regia che di sceneggiatura. I due protagonisti conquistano allora  la  statura che  loro compete: fiero e  sanguigno il Commissario di Martin Balsam, un attore americano che sa ottimamente piegarsi ad una figura tipicamente insulare; travolto da intime crisi il Procuratore di Franco Nero, in una caratterizzazione che dimostra il suo intelligente evolversi d'interprete. (Guglielmo Biraghi, ‘Il Messaggero’, 3 aprile 1971)
(a cura di Enzo Piersigilli)

4 comentarios:

  1. Hola Amarcord, si no te molesta, adjunto subtítulos que encontré en castellano. Los comprobé y están sincronizados. Un saludo

    http://www.subdivx.com/X6XMjM1MDQyX-confessione-di-un-commissario-1971.html

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    1. Biri
      Nunca es molestia. Muchas gracias por colaborar.
      Un fuerte abrazo.

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  2. Ti sarei grato se un prossimo futuro publicassi FRAULEIN DOKTOR film di Alberto Lattuada del 1969 che non sono riuscito a reperire in alcun modo. Grazie.

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  3. Gracias Amarcord, esta peli de Damiani parece de sus buenas épocas

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